10 ANNI DALLA MORTE DI DON LUIGI FOSSATI

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Il racconto e le testimonianze di una vita passata per la gran parte ad Aprilia

Don Franco Marando: “Ha saputo esprimere la sapienza della tradizione e l’attenzione alla novità”

                          di Riccardo Toffoli

Sono passati 10 anni dalla morte di uno dei parroci più amati e anche più vissuti della storia recente della nostra città. Era il 19 gennaio 2012 quando si è spento Don Luigi Fossati, sacerdote dell’istituto di San Raffaele trasferitosi ad Aprilia nel 1969 e parroco di San Michele dal 1983 al 1996. Don Luigi Fossati faceva parte di quella comunità dei sacerdoti della Casa di San Raffaele di Vittorio Veneto che vennero ad Aprilia e contribuirono allo sviluppo culturale, morale e civile di una città nuova e in grande sviluppo sociale ed economico. Il parroco di San Michele Arcangelo Don Franco Marando mercoledì 19 gennaio ha voluto ricordare la figura di Don Luigi Fossati con una funzione religiosa alle ore 18. A lui il Comune di Aprilia ha voluto intitolare una sala dell’Aprilia Cultura. Per Aprilia fu un prete “rivoluzionario”, tanti lo ricordano per aver invitato a votare la legge sul divorzio, come del resto fece il suo amico Don Aldo Bellio. Ha trascorso oltre un terzo della sua vita nella nostra città. Tra le sue battaglie più importanti: quella di dotare la chiesa madre di San Michele Arcangelo del campanile distrutto a seguito della seconda guerra mondiale, realizzato qualche anno dopo aver lasciato la parrocchia. Ci ha lasciato la raccolta di 25 anni di “Comunità Parrocchiale”, un patrimonio della città dal punto di vista storico – sociale – politico – culturale. “Comunità Parrocchiale” era un mensile di informazione locale che pubblicava la parrocchia di San Michele Arcangelo e di cui Don Luigi era direttore. Ebbe 25 anni di vita. La prima pubblicazione risale al 1971 e si sciolse nel 1996, quando Don Luigi lasciò San Michele per il nuovo incarico sacerdotale nella chiesa di San Giacomo a Nettuno. Il suo nome è legato all’organo da lui fortemente voluto, composto da 2.645 canne e 13 campane, inaugurato solennemente con un grande concerto il 25 aprile 1993. Ma Don Luigi fece bella la chiesa di San Michele, rinnovandola molto, coinvolgendo artisti locali e dando dignità all’abside, realizzandolo così com’è adesso e collocando le bellissime stazioni della via crucis che ancora oggi sono come Don Luigi le ha volute.

LA VOCAZIONE – Don Luigi nacque a Francenigo in provincia di Treviso il 28 febbraio 1939 da una famiglia numerosa. “Parlare di don Luigi per me è parlare di una persona speciale che si incontra una volta nella vita e dopo mai più, ma ti lascia il ricordo che dura per sempre. –ricordava nella sua testimonianza qualche anno fa Franca Zaghet- Don Luigi amava profondamente la sua famiglia, non voleva coinvolgerla nelle sue scelte personali. Per non farla soffrire. Ricordo che quando stava male, mi raccomandava di non dire niente ai suoi familiari. Nella sua famiglia oltre a mamma e papà erano sette figli cinque femmine e due maschi, egli era arrivato dopo quattro femmine per cui motivo di grande festa, la casa diventava sempre più piccola, ma c’era l’orto dove la mamma spesso cucinava. Don Luigi molto spesso portava gente a casa a mangiare. Tante persone di Aprilia hanno goduto di questa mensa famigliare. Chi veniva nel Veneto per ammirare le Dolomiti faceva sempre una sosta in casa Fossati. Anche le signore che si offrivano per le pulizie della Chiesa come premio avevano un viaggio nel Veneto. Nel ‘79 è morto il papà, nel ‘96 quando lui era appena trasferito a Nettuno è morta la sorella Bruna e nel giorno di S. Michele del ‘99 è morta anche la mamma. Da qui la sua famiglia ha cambiato aspetto, erano finiti i piacevoli incontri. Ultimamente le portava a casa mia “ordinandomi” il suo menu preferito: risotto, polenta e funghi. Don luigi era attento a tutto ai fatti di cronaca, di politica, portava il caffè alle signore che facevano le pulizie in Chiesa. Al primo posto però c’erano i poveri, poveri che il più delle volte erano emarginati da tutti”. Nell’ottobre 1950 entra nella Casa di San Raffaele e frequenta il seminario vescovile di Vittorio Veneto. “Ricordo mia mamma in tempo di guerra –ci raccontava lui stesso in un’intervista- che aveva sette figli e non riuscivo a capire come trovasse la forza per avere sempre il sorriso. Poi ho capito che la trovava nella preghiera e nell’eucarestia. Ricordo inoltre, la morte di mio nonno e il suono che ancora mi rintocca nelle orecchie della terra che dal pugno delle mani, viene gettata sulla bara per il rito della sepoltura”. Ma per Don Luigi la figura che diede una svolta alla sua vita è stata Don Geminiano. “Ci ha tolto dalla strada, ci ha dato del lavoro e ci ha insegnato il cammino della vita. Oggi non potrei immaginarmi un futuro diverso se non avessi incontrato Don Giminiano” –ci disse. Quando comunicò la decisione di farsi prete alla famiglia, il padre non la prese bene. “Mi confessò Don Luigi –ci racconta Giovanni Lombardo- che il padre gli rispose perentorio: piuttosto che farti prete è meglio che apri un casìn”. Da giovane don Luigi era bellissimo e aveva uno sguardo intenso, lo stesso che mantenne per tutta la vita. Venne ordinato sacerdote il 29 giugno 1963 nella chiesa di Pianzano (Tv) da mons. Albino Luciani futuro papa Giovanni Paolo I. Dal 1968 al 1970 è direttore della casa dello studente e insegnante di religione al collegio Dante di Vittorio Veneto. In quegli anni studia all’Università Gregoriana di Roma. “Da giovane –ricordava sempre Franca Zaghet- in Vittorio Veneto ha avuto l’incarico di Direttore della Casa dello Studente, frequentata da numerosi giovani che ha seguito nello studio e in varie attività di formazione, trascorreva parecchio tempo con loro, intrattenendosi anche nel gioco, e facendo così tante conoscenze e amicizie che ha continuato a coltivare e ad accompagnare anche da Aprilia. Gli piaceva confondersi con le persone come fosse una di loro, ma poi era pronto di intervenire con una battuta, per esprimere il suo pensiero. Una volta si trovò in treno con un gruppetto di giovani che sparlavano dei preti e, quando uno tentò di coinvolgerlo, prontamente disse: Se vi dicessi che io sono un prete? Tutto gli bastava e quello che aveva era pronto a dividerlo con gli altri soprattutto gli ultimi. Quando sento Papa Francesco parlare di Chiesa povera e in uscita, penso e ringrazio il Signore della testimonianza che mi ha lasciato don Luigi”. Ci raccontò lui stesso che fece voto di povertà, potendo contare per se stesso su un massimo di 10 mila euro l’anno per le spese vive, il resto, se entrava, lo destinava alla comunità.

LA MISSIONE PASTORALE AD APRILIA – Don Luigi arriva ad Aprilia nel 1969 dove prende servizio nella comunità di San Michele Arcangelo. Diventa parroco di San Michele Arcangelo nel 1983. Qui trova diversi sacerdoti dell’Istituto di San Raffele che fanno comunità e che indirizzano la crescita non solo pastorale, ma anche civica e sociale della città. Don Luigi era un uomo che guardava nel profondo delle cose e nell’anima delle persone. L’impegno venticinquennale in Comunità Parrocchiale è forse quello più evidente e formale, lì dove entrava nel cuore della città, denunciando fatti scomodi, libero da qualsiasi vincolo politico e avendo sempre come obiettivo principale l’amore per la verità, anche se scomoda ai “potenti” di turno. Curò la visita pastorale di papa Giovanni Paolo II per il cinquantesimo anniversario della fondazione della città il 14 settembre 1986, fece costruire il nuovo organo a canne e inaugurò la rassegna organistica apriliana, avviò la costruzione del campanile che venne inaugurato nel 1999. Lui stesso parlò dell’organo. “E’ l’organo più importante di tutto il basso Lazio –ci raccontò Don Luigi- perché ha una tale ricchezza che gli permette con i suoi oltre 30 registri, di suonare delle musiche del seicento altrimenti non riproducibili. Quest’organo è stato il mio desiderio più profondo. E per un semplice motivo, perché la liturgia eucaristica è la fonte e il vertice di tutta la fede e l’organo è lo strumento più completo tra gli strumenti che possa supportarla. Il Consiglio per gli affari economici era contrario all’acquisto dell’organo e bloccò il progetto per molto tempo. Giustamente avevano la precedenza le aule del catechismo e il centro anziani. Poi la vedova Sada mi donò 50 milioni di lire vincolandole all’acquisto di un organo”.  Dell’esperienza ad Aprilia lasciò un ricordo, “Il Quadrifoglio”, scritto nei giorni di una degenza in ospedale e poi non terminato a causa della morte. Il quadrifoglio venne pubblicato postumo, a due anni dalla scomparsa nel 2014 e racconta la storia fortunata di quattro impegni sul fronte sociale apriliano: il mensile Comunità Parrocchiale, il centro di addestramento professionale, il centro sportivo Primavera e il centro Don Milani. Allergico ai formalismi, agli sprechi e agli abusi Don Luigi viene ricordato anche per aver “sospeso” la processione del Santo Patrono tra le vie della città dal 1974 al 1988. Un altro fatto si ricorda in città. Si tratta dell’adozione di una tonaca bianca unica per i bambini durante la prima comunione. Lui stesso giustificò la scelta in un lungo pezzo su Comunità Parrocchiale, dicendo appunto che non era possibile vedere bambini di famiglie agiate vestiti come principesse e bambini di famiglie povere che non avevano neanche le scarpe pulite.

“L’UOMO DAI DUE VOLTI” – “Ho conosciuto e frequentato Don Luigi abbastanza –ci racconta Giovanni Lombardo- posso dire che Don Luigi aveva due facce. La prima era quella dell’intellettuale che più o meno conoscono tutti. Posso aggiungere che aveva una corrispondenza assidua con Enzo Biagi, lo so per certo, perché ho visto le lettere che si scrivevano. Ma la faccia che lui preferiva di più era quella sociale, il suo impegno grande per i poveri. Lui stesso si indebitava, pur di aiutare. Fu lui a dare il nome di Don Milani al centro Caritas di via Trieste nato nel 1983 per aiutare e ascoltare le persone e fu lui a volere il Circolo dell’Amicizia, una sorta di ritrovo degli anziani intorno al calore di un camino acceso, simbolo della famiglia. Ricordo che andavamo insieme dai contadini a prendere la legna per il camino e lui non delegava nessuno, si sporcava le mani perché così voleva. Come successe quando siamo andati a smontare gli armadi di una camera da letto per poterla ad una famiglia povera o quando si caricò da solo una lavagna dal centro Don Milani alla parrocchia. Vestiva molto libero. Tutti ricordano la camicia di fuori, i sandaletti o le onnipresenti e preferite olandesi. Qualcuno per questo diceva che fosse uno scaricatore di porto ma era solo perché non amava le formalità. Girava per la città con Il Manifesto sotto braccio e una volta si scandalizzarono tutti perché invece di dire meretrice, dal pulpito dell’omelia domenicale, parlò di una puttana. Lo fece, mi confessò, perché doveva attirare l’attenzione sul messaggio che voleva imprimere. Aveva notato diverse persone con lo sguardo assente. Sicuramente le risvegliò. Aveva un’intelligenza e una cultura fuori dal comune. Faceva delle omelie semplici e toccava il cuore delle persone perché ciò che diceva, lo faceva nella vita e lo sentiva veramente”.

LA MISSIONE PASTORALE A SAN GIACOMO – Nel 1996 il vescovo gli chiese di impegnarsi per la nuova parrocchia che si stava formando a San Giacomo a Nettuno. Contro quel trasferimento si mobilitò l’intera comunità cittadina (cattolici e laici). Anche l’incontro con il vescovo Dante Bernini del 23 agosto 1996, non portò a nulla. Il trasferimento di don Luigi Fossati fu suggellato sabato 31 agosto 1996, durante la messa celebrata dal vescovo monsignor Dante Bernini. Anche in questa nuova missione ha lasciato un ricordo indelebile. Ha abbellito la chiesa, l’ha arricchita di spazi per la gioventù tanto da farla diventare un centro importante di aggregazione per tutta la comunità. Quando siamo andati a trovarlo ci ha colpito vedere una chiesa gremita di giovani e orgogliosa di essere comunità. “La comunità di San Giacomo –ricorda ancora Giovanni Lombardo- era alla periferia di Nettuno e, al suo arrivo, doveva essere praticamente costruita. Chiese un prestito a tutti i parrocchiani che nel giro di due anni restituì completamente. In questi due anni ha comprato i banchi nuovi, rimodernato la chiesa e fondato un circolo per gli anziani. Prima di lui nessuno voleva sposarsi a San Giacomo né fare battesimi o altre cerimonie perché la chiesa era scarna e la comunità non era vissuta. In poco tempo ha saputo far fiorire una bellissima comunità e come sempre apriva le porte a tutti, ai cristiani ma anche ai laici e agli atei”. “Ho definito Don Luigi un gigante –ricordava Don Bruno Meneghini- Amava la natura. Amava la sua casa dietro la quale coltivava un orticello. Era un uomo di profonda cultura. Spaziava su tutti i campi, leggeva il giornale tutti i giorni. Amava la musica, suonava il pianoforte. E’ stata la sua testardaggine a mettere su l’organo che ora troneggia nella chiesa di San Michele Arcangelo. Non ostentava tutta questa cultura. Era anche modesto. Aveva tanti amici. Coltivava l’amicizia e continuava ad avere amici d’infanzia, di seminario e nell’apostolato. Ci teneva con cura particolare. Amava anche coloro che non erano della sua stessa opinione. Anche quando discuteva con me, non ho mai avuto il sentore che si distaccasse da me come amico. Aveva una predilezione per i poveri. Amava i malati. Nell’ultimo anno di malattia, aveva lasciato molte mansioni pastorali, ma una l’ha mantenuta fino all’ultimo: andava ogni settimana a visitare i suoi malati. Quanta gente ha ospitato nella sua casa e a quanti ha trovato poi lavoro! Era questa una predisposizione naturale. Era solito andare alla Caritas di Nettuno e prendeva degli indumenti, tra i più umili, con i quali si vestiva. La povertà era la sua normalità. Amava la giustizia e odiava l’ingiustizia. A volte sembrava il Cristo che caccia i mercanti dal tempio”. Morì in estrema povertà e nonostante tutto e nonostante il profondo affetto dei suoi parrocchiani, morì “solo”. Scrive di lui Don Francesco Dal Cin: “Don Luigi non soltanto ha amato i poveri e ha sognato una chiesa più evangelica, ma cosa ancor più difficile, con coerenza ha amato ed ha vissuto la povertà”.

IL PARROCO DON FRANCO MARANDO: “LO RICORDIAMO CON VERA VERA GRATITUDINE” – “Anche quest’anno con vivo piacere abbiamo ricordato Don Luigi Fossati in occasione del decimo anniversario della morte avvenuta a Nettuno nel 2012. –ha ricordato il parroco di San Michele Don Franco Marando che ha officiato una Santa Messa in suo ricordo mercoledì 19 gennaio- Lo ricordiamo con immensa gratitudine. È morto a Nettuno ma ha trascorso la parte maggiore della sua vita impegnato nell’attività pastorale soprattutto ad Aprilia. E pur stando a Nettuno mai dimenticò la città di Aprilia. Il suo cuore era veramente legato ad un’esperienza di vita, di lavoro e di impegno che non lo abbandonò mai. Noi lo ricordiamo per la sua intelligenza viva, il suo parlare forbito pur mantenendo nelle relazioni un atteggiamento estremamente semplice, cordiale e votato alla relazione con tutti. Viveva in maniera semplice. Non era attaccato alle cose ma coltivava il senso vero delle relazioni personali. La sua vita qui ad Aprilia rimane importante perché insieme agli altri sacerdoti dell’Istituto San Raffaele ha saputo dare un volto ad una città che in quegli anni cresceva. Si tratta del tempo immediatamente dopo il Concilio Vaticano II e di una città dove non c’era una tradizione da conservare o dal coltivare. Ha impiantato una realtà nuova ispirata dai tempi che pian piano si susseguivano e segnata da una celerità nei cambiamenti veramente notevole. In tutto, insieme agli altri sacerdoti, Don Luigi ha saputo esprimere la sapienza della tradizione e l’attenzione alla novità. Personalmente lo ricordo con tanto affetto. Ho coltivato con lui una relazione che si è protratta nel tempo. Spesso avevamo modo di consumare un pasto insieme, anche con gli altri sacerdoti. La sua partecipazione è sempre stata arricchente con il suo buon umore, la sua cordialità e la sapienza che veniva dall’esperienza concreta di tutti i giorni. Don Luigi rimane nel cuore di tutti gli apriliani, rimane un’eredità che sicuramente non dimentichiamo e che è conservata nella pubblicazione del giornale Comunità Parrocchiale, uno sguardo diretto alla vita sociale e politica nel suo evolversi e esprimersi quotidianamente. La pubblicazione del giornale era seguita e attesa in città ed era lo specchio della vita sociale di quegli anni”.