60ESIMO ANNIVERSARIO DALLA VISITA DI PAOLO VI AD APRILIA

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Paolo VI celebra la Santa Messa sul sagrato di San Michel

La Parrocchia di San Michele Arcangelo guidata dal parroco Don Franco Marando si sta preparando ad un evento unico. Sarà presente il Cardinale Marcello Semeraro

La storia di quel 23 agosto 1964: l’incontro del Papa con gli operai apriliani

Paolo VI celebra la Santa Messa sul sagrato di San Michel

di Riccardo Toffoli

Sono passati 60 anni dalla visita di Papa Paolo VI ad Aprilia. Era il 23 agosto 1964 quando il Sommo Pontefice santificato da Papa Francesco il 14 ottobre 2018, si recò ad Aprilia per far visita ad una comunità in crescita economica e demografica. Aprilia, borgo rurale di bonifica fascista, era stata rasa al suolo dai bombardamenti della seconda guerra mondiale. Linea di fronte del furente combattimento tra alleati e tedeschi dopo lo sbarco degli angloamericani ad Anzio. Dopo la guerra, gli ex coloni hanno iniziato a ricostruire. “Qui si sta incominciando e fondando” sono le storiche parole del Papa accolto da migliaia di fedeli, soprattutto operai, delle allora sessantasei fabbriche apriliane da poco insediatesi in città. Il Papa volle incontrare la comunità apriliana proprio per parlare di come fosse possibile coniugare la fede cristiana con la modernità, fatta di lavoro di fabbrica e di nuove sfide sociali e tecnologiche. Per l’occasione la parrocchia di San Michele Arcangelo, chiesa madre della città di Aprilia e guidata dal parroco Don Franco Marando, ha voluto promuovere un grande evento i cui dettagli saranno diffusi in seguito per il prossimo 26 settembre. Interverrà il Cardinale Marcello Semeraro, dal 2022 prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi e già Vescovo di Albano dal 2004. Indosserà la casula con la quale Paolo VI celebrò la Santa Messa ad Aprilia e utilizzerà il calice di allora. Calice e casula, oggi reliquie, che San Paolo VI donò alla comunità e che sono attualmente ben conservati nel museo diocesano. Sarà un evento cruciale per la vita religiosa e per i credenti, ma anche per tutta la città, in un momento storico in cui serve “ricominciare e fondare” una nuova vita comunitaria.

APRILIA SI PREPARA ALLA VISITA DI PAOLO VI

Aprilia nel 1964 aveva circa 20mila abitanti. Le case del centro erano bianco-giallognolo e piccole, la campagna era sempre più divorata dai capannoni industriali e dalle nuove industrie, alcune anche di grandi dimensioni. Si ergeva già il “grattacielo” di dodici piani. Dominava la città dalla fine della via che la giunta Rossetti intitolò a Giovanni XXIII morto l’anno precedente. “Il capitale scoprì Aprilia una decina di anni fa –scriveva Il Corriere della Sera- vi trovò mano d’opera a buon mercato e uomini disposti a lasciare l’aratro per la fresatrice”. La giunta era social-comunista, guidata dal sindaco Antonio Rossetti che da lì a poco avrebbe concluso il suo mandato. La Parrocchia di San Michele era retta dai preti dell’istituto San Raffele di Vittorio Veneto che hanno creato spirito di comunità con un occhio sempre rivolto al futuro. Il parroco era Don Fernando Dalla Libera. L’interesse della Chiesa su Aprilia, una città giovane, rinata dalle ceneri della guerra e che stava crescendo nei “tempi moderni” fatti di tecnologie che avanzavano, di lavoro nelle industrie, di campagne che venivano progressivamente abbandonate, si era concentrato non solo sulla scelta dei sacerdoti dell’istituto di San Raffaele ma anche con l’attività del centro d’addestramento inaugurato nel 1959 e per il quale spese la sua grande missione pastorale Don Angelo Zanardo. “Per la gioventù di Aprilia e dintorni” –scriveva il cardinale Giuseppe Pizzardo, all’epoca Vescovo di Albano. Era il tentativo di trovare un dialogo con il mondo operaio e una gioventù diversa che aveva nuovi bisogni e nuove prospettive di vita e sentiva il cristianesimo come un valore non più attraente. Il sindaco Rossetti riunì la giunta il 13 agosto per preparare l’accoglienza istituzionale al Papa. Non c’era nulla in Comune che potesse affrontare un evento di tale portata. L’amministrazione così si rivolse al Comune di Roma per avere transenne, pennoni e bandiere. Il Comune di Roma chiese solo 500 mila lire a garanzia del prestito che, finito l’evento, sono state restituite. E siccome i soldi non c’erano, furono costretti a votare un’anticipazione di cassa di 250 mila lire. Il giorno prima dell’arrivo del Papa, Aprilia si era trasformata in una città in “bianco” e “nero”. Il 21 agosto era morto Palmiro Togliatti leader storico del Partito Comunista ma anche uno degli esponenti più significativi della politica nazionale della nuova Repubblica. Sulle case biancastre di Aprilia, nei negozi, nei bar si trovavano così le strisce nere di lutto e le foto di Palmiro Togliatti insieme ai manifesti e alle bandierine bianche e gialle del Papa. La giunta Rossetti mandò anche una delegazione istituzionale con il gonfalone della città a Roma per presenziare il 25 agosto ai funerali del leader comunista. Tocca tornare molto indietro nella storia per ritrovare una visita di un Papa su territorio “apriliano”. Era il 22 aprile 1697 quando Papa Innocenzo XII, diretto ad Anzio per inaugurare il nuovo porto, sostò a Carroceto, ospite del principe Borghese. Ma Aprilia ancora non esisteva.

LA GIORNATA DEL 23 AGOSTO 1964

Papa Paolo VI aveva deciso di venire ad Aprilia per incontrare gli operai, in un periodo in cui gli stessi operai erano lontani dalla Chiesa e votavano principalmente Partito Comunista. È venuto per affermare che la fede cristiana può convivere con la modernità. Faceva molto caldo, le cronache dell’epoca parlano di una grande afa. Paolo VI era partito da Castel Gandolfo alle ore 7. Aveva percorso lentamente, dopo il bivio delle Frattocchie, la Nettunense e si era fermato più volte per incontrare piccole folle di persone che si affacciavano per salutare. A circa un chilometro da Aprilia venne accolto dalla autorità della provincia di Latina e dalle autorità locali. Il corteo è quindi sceso per la circonvallazione fino a via dei Lauri e, attraverso le vie principali, è arrivato in piazza Roma alle 8.30. Nel frattempo in piazza Roma, migliaia di persone si erano radunate. “Pochi dei ventimila apriliani dovevano essere rimasti a casa” –scriveva il Corriere della Sera. La piazza era addobbata con gli stendardi bianchi e gialli del Vaticano e dal tricolore. Gli altoparlanti del Comune continuavano per circa un’ora a ripetere: “Tra qualche istante arriverà il papa”. Suonavano le campane e fischiavano le fabbriche. Una moltitudine di operai, vestiti con la tuta da lavoro si erano ammassati lungo le transenne. Le operaie portavano la cuffia bianca in testa, indossavano camici bianchi, turchini o blu in base alla mansione ricoperta in fabbrica. C’era chi fabbricava minestre in scatola, chi aperitivi al carciofo, chi antibiotici e chi ancora segnali stradali.  “Ecco, il papa è entrato nella nostra parrocchia” –disse quindi l’altoparlante e all’arrivo di Paolo VI scoppiò un grandissimo applauso, “assordante” descrivono le cronache dell’epoca. Dalle macchine scendevano i prelati Mons. Carlo Colombo teologo personale del Papa, Mons. Nasalli Rocca suo maggiordomo, Mons. Del Gallo di Roccagiovane suo cameriere segreto, Padre Giulio Bevilacqua e il direttore delle Ville Pontificie Bonomelli. C’erano gendarmi pontifici e agenti italiani. Il corteo fu preceduto dall’arrivo del Cardinale Giuseppe Pizzardo Vescovo di Albano e dal suo ausiliare Raffaele Macario. Anche loro sommersi di appalusi. Venne allestito un altare all’aperto sul sagrato della Chiesa per la celebrazione della Messa. Ancora oggi si usa fare, specie per la festività del Santo Patrono. Paolo VI scese dall’automobile che era scoperta e ha subito diretto gli occhi alla statua di San Michele Arcangelo, opera di Venanzo Crocetti, unico superstite del borgo fascista a rimanere in piedi dopo i bombardamenti della guerra. Quindi si è fermato ad ascoltare l’indirizzo di benvenuto pronunciato dal giovane operaio Benito Gibbini. Gli ha detto, leggendo un fogliettino che stringeva in una mano tremante, che nella parrocchia ci sono 66 fabbriche, che erano proprio loro, gli operai, ad accogliere per primi il Papa. Paolo VI gli strinse la mano, lo abbracciò e gli chiese cosa fosse scritto sulla tuta da lavoro. Rispose Gibbini: “E’ il nome della fabbrica dove lavoro” e iniziò a piangere dalla commozione. Nel passaggio attraverso le transenne fino all’altare, tra il suono delle campane, i fischi delle fabbriche, gli slogan ripetuti e il rumore delle moto e auto della Polizia, il Papa si curvò a consolare un bambino che piangeva, scappato per la paura tra le transenne. Ha stretto le mani alla gente che si accalcava tanto da rassettarsi più volte lo zucchetto bianco sul capo. All’inizio del canto “Christus Vincit” Paolo VI andò a stringere la mano agli anziani e ai malati che erano nella prima fila, uno anche in carrozzella. Sette sacerdoti scesero con la pisside in mano a portare la comunione agli operai. Al Papa, il Sindaco Antonio Rossetti e il parroco don Fernando dalla Libera donarono una targa-ricordo, il clero apriliano gli donò un bassorilievo in bronzo della Crocifissione, opera di Sergio Sventurato. Paolo VI lasciò alla Chiesa il calice e i paramenti con i quali aveva celebrato la Messa. Reliquie che oggi sono conservate presso il Museo Diocesano e che gli apriliani potranno rivedere il 23 settembre nella Santa Messa del Cardinale Marcello Semeraro. Paolo VI ha benedetto la bandiera delle Acli e ricevette in udienza tantissime persone che venivano a baciargli la mano. Quindi si diresse verso via Giovanni XXIII dove ha benedetto la prima pietra di una nuova chiesa. Nel 1964 vennero infatti inaugurate la chiesa di Casalazzara e quella di Campo di Carne. Nel tornare alla macchina, Paolo VI si curvò più volte sui bambini per una carezza accompagnato dal suono delle campane e le sirene. Tornato a Castel Gandolfo parlò all’Angelus nuovamente della nobiltà del lavoro. Di quella visita rimane oggi un tondo di bronzo in memoria presso la chiesa di San Michele, opera di Tony Di Nicola del 1986.

IL DISCORSO DI PAPA PAOLO VI AD APRILIA

“Un saluto di pace, d’onore e di gaudio è la prima espressione di Sua Santità per i diletti figli di Aprilia. Egli vede con piacere i loro spirituali Pastori, a cominciare dal Cardinale Pizzardo, degnissimo Presule – che dedica tante preziose energie alla vita religiosa del popolo affidato alle sue cure -; al Vescovo suffraganeo; al Parroco con i sacerdoti che lo coadiuvano.

Il Santo Padre vuole ricordare i Religiosi, le Suore, le Associazioni cattoliche. Dà, inoltre, il suo saluto alle autorità civili, che si occupano delle vicende anche materiali della zona.

PATERNA PREFERENZA ALLA CITTÀ NUOVA

Un vero godimento il Santo Padre ha provato testé, allorché chi gli dava il benvenuto a nome degli operai poneva in risalto d’essere l’interprete dei lavoratori sia dei campi sia dei 66 stabilimenti industriali sorti nel territorio di Aprilia. Il Papa ricambia con il più vivo affetto, augurando alle comunità di lavoro concordia, pace, soddisfazione insieme col benessere temporale, aggiungendo ringraziamento ed incoraggiamento per le singole famiglie e l’intera popolazione.E adesso una confidenza. Fra le molte domande di visite che pervengono al Papa, Egli ha preferito di accontentare Aprilia: non già perché gli altri richiedenti non siano del pari meritevoli, ma perché qui si tratta di una città che ha appena trent’anni. Qui si sta incominciando e fondando; qui ora si pongono i principii che devono ispirare e governare la vita presente e quella del futuro.

Ciò interessa moltissimo il Padre delle anime, poiché mostra, all’evidenza, il grande problema della vita moderna. E cioè: come può la vita nuova, la vita che sorge dalla nostra terra, dalla nostra generazione, e da questo popolo che ha provato le rovine della guerra e le agitazioni successive e possiede l’ansia, la forza, l’istinto di rinnovarsi e di rivivere, come può questa vita nuova, accordarsi, fondarsi, trovarsi in simpatia e in amore con la vita cristiana? È possibile che la vita cristiana fiorisca, si dilati, sia prospera e quasi connaturata con le nuove espressioni urbanistiche, civili, operaie, sociali della vita moderna? Questo è il grande problema: e perciò tutti siamo immensamente interessati a vedere qual è la sorte di questa eredità, che portiamo da secoli: cioè della nostra fede, della nostra professione cristiana. Vogliamo vedere se è una pianta capace di vigoreggiare appunto sul terreno della vita moderna, o se invece sia una pianta che va isterilendosi e morendo proprio per il fenomeno della mentalità odierna.

«SIATE CRISTIANI» – Voi vedete benissimo – prosegue il Santo Padre – come, a proposito della vita cristiana, al confronto di questi fenomeni che avete davanti, cioè il sorgere di nuove comunità cittadine, si ponga dapprima il quesito: essere religiosi è ancora possibile in una città contemporanea? Voi certo notate la esistenza e della vita cristiana e della vita profana. La prima impressione farebbe ritenere cosa assai diversa l’attendere ai propri affari, cercare i beni temporali, superare tutte le angustie della organizzazione politica, sociale, civile, economica, culturale, e, nel medesimo tempo, pensare a Dio, che sembra diventato, si direbbe, un estraneo, quasi inabitabile in mezzo a noi. Comprenderete benissimo, allora, come siano, in un certo senso, spiegabili anche i contrasti, che si manifestano tra la professione pubblica, sociale, vissuta, del nostro Credo, della nostra fede e la vita profana così come si presenta. Sembrano quasi due cose incompatibili, due cose che non si amano più e non possono ulteriormente accordarsi fra loro.Ebbene, figliuoli miei, vi dico con tutto il cuore e l’affetto paterno che qui mi porta; con tutta la solennità del mio ministero apostolico vi scongiuro, carissimi figli: Siate cristiani! siate cristiani! Conservate la fede dei vostri vecchi e dei vostri morti; conservate la fede di questa terra benedetta che si chiama Italia; conservate la fede per i vostri figli, per il vostro avvenire, per il vostro lavoro; e sappiate che non c’è affatto incompatibilità tra la fede cristiana e la vita moderna.

Sappiate che la fede cristiana, – la quale sembra, talvolta, intersecarsi e fare quasi da remora al progresso e alla libera espansione delle energie profuse nel regno temporale, – non rappresenta, in maniera assoluta, ostacolo di sorta. A pensarci bene, a veder profondamente le cose, comprenderemo piuttosto che, al contrario, essa è un ausilio, un’energia, un fermento, una forza, una luce irradiantesi pure sulla vita profana.

Potreste chiedere: allora la vita cristiana compie i miracoli di risolvere tutte le nostre questioni? No: la vita cristiana non cambia, di per sé, le cose temporali. Le vostre questioni rimarranno, esse non saranno automaticamente risolte dal fatto che andate in chiesa, innalzate a Dio le preghiere o vi professate cristiani. Rimarranno, ma la vita cristiana, proprio come luce che si accende sopra il panorama della nostra quotidiana vicenda, darà il senso giusto alle cose di questo mondo, darà il valore alle vostre fatiche, alle vostre speranze, al vostro dolore, al vostro amore; alla esistenza umana.

UN SOLE CHE NON PUÒ SPEGNERSI – La vita cristiana è davvero come un sole che risplende su l’insieme dei nostri giorni. Figliuoli miei, se questo sole finisse per spegnersi, che cosa si perderebbe? Alcuni dicono: niente. E invece sì perderebbe proprio il senso della vita. Perché lavorare, perché amare gli altri, perché essere buoni, essere onesti, perché soffrire; perché vivere, perché morire, se non c’è una speranza al di sopra di questa nostra povera vita pellegrinante quaggiù? È la vita cristiana – giova ripeterlo – a dare il senso, il valore, la dignità, la libertà, la gioia, l’amore al nostro passaggio sulla terra. Per questo l’invito paterno vuole essere possente come un grido, che dovrebbe rimanere a memoria dell’odierno incontro: Siate cristiani; siate cristiani!

Quando noi ricordiamo tale verità, il primo pensiero è che la voce del sacerdote, di chi annuncia il Vangelo, ci richiama a grandi doveri, ad osservanze difficili, a comandamenti che sono, alcune volte, proibitivi e possono sembrare pesanti. Bisogna subito chiedersi con generosità di intenti: che significa, per prima cosa, essere cristiani? Vuol dire accorgersi ed essere convinti che siamo amati da Dio; che c’è lassù Chi ci vuol bene; una Provvidenza esiste sopra di noi; l’amore del Padre ci guarda, e una tenerezza infinita ci ammanta. E ancora: questo Amore si è fatto fratello nostro, è diventato il Cristo, è Gesù che ha camminato per le nostre strade, ha sofferto le nostre angustie, ha parlato la nostra lingua, ha mangiato il nostro pane; si è accomunato con noi, è venuto persino accanto a noi per guarirci, per istruirci e dichiarare a ciascuno: voglio sempre stare con te, quale principio di energia interiore: io sono il tuo pane, il tuo maestro, la tua forza, la tua guida.

RICONOSCERE LA PREDILEZIONE DIVINA – Qui è l’essenza del professarsi cristiani: adeguarsi a questa vocazione divina. Non siamo, dunque, ciechi, né miopi, né dimentichi, o peggio, traditori! Accorgiamoci di essere prediletti dal Signore! Se così sarà, vedremo che la vita cristiana si manifesta quale maestoso, intramontabile sole rifulgente per noi; ed anche i comandamenti, i quali sono la esigenza logica e conseguente alla professione cristiana, divengono facili. In una parola vivere da cristiani si compendia in unica frase: Amare il Signore e riconoscere che siamo amati da Lui. Se ognuno si uniforma a così alta verità, una grande serena letizia congiunta a forte energia germoglia nell’anima; quindi, il compiere qualche cosa di serio, e anche di arduo per la nostra fede non è più un peso, non è più un castigo: è una gioia. Tale la proverà il soldato nel militare per la sua bandiera, la madre nel sacrificarsi per il suo bambino, il cittadino nel servire il proprio paese. Or dunque è un gaudio per il cristiano adempiere la legge di Dio, perché è una legge di amore, di bontà, salvezza, speranza. Alla domanda, tutt’altro che impossibile, in cosa consista questa vita cristiana, la risposta è semplice, e nota. Si condensa in un breve esame: Pregate? Andate alla Messa, la domenica? Sapete aprire – incalza il Santo Padre – queste benedette labbra, che specialmente in molti uomini sono quasi sempre suggellate e non sanno più enunciare un grido, una voce, un gemito, un’invocazione, e sono restie a rivolgere una parola a quel Dio benedetto, che tanto ci ha amati e per redimerci ha dato la sua vita? Si apra ogni anima: soffrite durante la settimana?, siete stanchi alla domenica? Confidatelo al Signore. Non è difficile trovare qualche sillaba che riveli la propria anima, anche se non si conoscono le preghiere in latino, le orazioni lunghe. Basterà dire: Signore, tu mi sei Padre, e fratello; Signore, tu mi devi essere ospite; devi essere il mio conforto. Signore, aiutami: io ti do la mia vita . . . Non è arduo esprimersi così. Ebbene – questa l’esortazione del Padre – sappiate pregare specialmente un’ora alla settimana, durante l’assistenza alla Messa festiva.

LA CARITÀ DEL PROSSIMO NEL CUORE – V’è, poi, da ricordare e raccomandare la grande legge del cristiano; essa deve essere possentemente riaffermata in una adunanza come questa, insieme col Papa, sulla quale domina la nota della comunità cittadina. Si tratta, anche qui, di semplici domande alle quali ognuno dovrà rispondere: Vi volete bene? siete fratelli? cittadini di una stessa patria, d’una medesima terra, di comune idioma? Avete la carità del prossimo nel vostro cuore? Sapete tradurre in argomenti, in espressioni sociali, questa vostra carità cristiana; intendete cioè, aiutarvi, conoscervi, sostenervi; promuovere tutte le associazioni ed opere che fanno del bene non solo a noi stessi, ma anche agli altri? Avete questo senso del nostro prossimo; del nostro amico, collega, socio, di tutte queste parentele sociali? le vivete cristianamente?

È quanto deve attuarsi. Se voi amate Dio, se amate il prossimo, la vita cristiana ha la sua attuazione sintetica, ma completa. E io spero, – aggiunge Sua Santità con impeto di tenerezza – io spero, figliuoli miei, che voi mediterete su queste semplicissime parole e ricorderete che il Papa, venendo tra voi, vi ha detto: siate cristiani amando Dio, in Lui sperando; e, cercando di fare il bene, di amare il prossimo. Vorrei che quanti dirigono le scuole, le officine, coloro che presiedono alle famiglie cristiane, quelli anche che sovraintendono agli interessi temporali d’una comunità come questa, possedessero appieno questo ideale cristiano della vita. Sono nato per fare del bene, per servire i miei fratelli; sono nato per attuare qualche cosa del Vangelo nella mia vita; sono nato non per essere egoista e godermela quaggiù, prescindendo da ogni impegno e servizio per gli altri, ma vivo per essere fratello, per essere testimone di quanto ha dichiarato Gesù nel Vangelo: in questo vi riconosceranno per miei discepoli, se vi amerete gli uni gli altri.

INEFFABILE CERTEZZA DI VITTORIA – Io mi auguro, – tale l’accento conclusivo della Esortazione – quasi a conforto e a compenso di questa sosta fra voi, che ci sia chi vorrà comprendere, e passare da uno stato di tiepidezza e di indifferenza a uno stato di coscienza, di fervore. Infine, il discorso vorrebbe terminare col rivolgersi alla generazione nuova, a voi giovani, ragazzi, speranze del domani. Volete voi essere cristiani? Tutti? Alla entusiastica risposta degli interpellati il Santo Padre fa seguire queste parole: Ecco, questa è la cosa che mi riempie il cuore di commozione e di gioia. Garantisco che se farete qualche sforzo per mantenere questa vostra promessa non avvertirete il peso della croce sulle vostre spalle, ma sentirete la gioia, il vanto, la forza, la certezza di avere Cristo nel cuore.

Precisamente con questo augurio e fiducia, diventata reciproca, comune, io tutti vi saluto e adesso, nella santa Messa, vi raccomando al Signore, e vi benedico.

-Aprilia Chiesa Arcipretale di San Michele Arcangelo e Santa Maria Goretti, 2002               -Sali sul Pullmino e andiamo, novembre 2022                                                                    -delibere di giunta 1964, archivio del Comune di Aprilia  -Corriere della Sera 24 agosto 1964 -Il Messaggero 23 e 24 agosto 1964 -La Stampa 24 agosto 1964 -Comunità Parrocchiale agosto 1978 -Archivio della Parrocchia di San Michele Arcangelo, faldone nuove chiese

“LA GRANDE LEGGE DEL CRISTIANO” – L’evento del prossimo 26 settembre, in occasione del sessantesimo anniversario della visita di San Paolo VI ad Aprilia è una mano tesa, l’ulteriore che la Chiesa cattolica dà alla nostra comunità cittadina. Lo fa in un periodo difficile per la fede, sicuramente. In un periodo di crisi spirituale dove le allora parole del Santo Padre risuonano oggi più che mai attuali. Eppure lo fa. A San Michele non c’è più la giovane e numerosa comunità dei sacerdoti di Vittorio Veneto, non c’è il centro di addestramento di Don Angelo e le tante attività sociali della parrocchia, c’è Don Franco Marando sulla soglia dei settanta. È un atto d’amore per Aprilia. In questo periodo difficile per la comunità apriliana di fronte ad un Comune pressoché blindato, che per chi ha vissuto la storia di questa città e l’ha amata, fa stringere il cuore, si alza un grido di dolore. A questo grido, delle tante personalità che sono venute in città, ha risposto oggi solo il Cardinale Marcello Semeraro che ama sicuramente Paolo VI ma che ha conosciuto e amato Aprilia e non l’ha dimenticata. E chi ci legge da tempo, sa benissimo che non l’abbiamo risparmiata mai a nessuno. Ma quello che contano sono i fatti. Il prossimo 26 settembre la Chiesa cattolica offrirà di nuovo la sua mano alla città di Aprilia, dolente, logora per carità ma con la speranza che la città, insieme e unita nella “grande legge del cristiano” la sappia accogliere per “ricominciare e ricostruire”.

Riccardo Toffoli