A volte improvvisamente qualcosa si spezza. Si rompe e basta. Non c’è un preavviso e neppure una minima percezione di quello che accadrà, nemmeno un segno qualunque che ci viene a cercare solo per avvertirci, per renderci, se possibili, più preparati.
Può capitare in una notte, in un giorno mentre attraversi una strada, mentre raccogli i pensieri. Accade senza far rumore, nel silenzio più assoluto o nel frastuono di un vicolo stretto senza uscita.
E non basta l’amore passato, vissuto, sviscerato per riaggiustare i pezzi, per riordinarli come si fa con i puzzle. I frammenti impercettibili iniziano ad agitarsi nel vento e fluttuano, allontanandosi, respingendosi, terribilmente distanti pur tenendosi per mano. C’è un istante che disperde e separa e ci costringe a vivere perennemente congelati in una bolla che non si scioglie al sole.
Il romanzo di Tommaso Fusari descrive il dolore, quello invisibile di due creature fragili unite da un passato che non passa e che non vuole farsi trovare. Lo raccoglie come si fa con gli oggetti caduti a terra, nella semplicità di un gesto quotidiano. Un dolore che non si muove. Incastrato, intrappolato, rinchiuso nei silenzi che servono solo a sedarlo un po’.
Michael e Sara, sono due fratelli che odorano di fieno, di campagna, persi a disegnare nuvole nel cielo, che si affacciano al mondo nello stesso modo in cui i bambini, ancora piccini e innocenti, si sporgono alla finestra per vedere il sole.
Un racconto che aggancia il dolore di tutti ma che nessuno sa ascoltare per davvero, in una Roma indifferente che inghiotte i sogni e le paure profonde di chi la calpesta un po’ogni giorno.
Un racconto che si legge tutto d’un fiato e trafigge per la sua capacità di portarci dentro e poi fuori da noi stessi, come se fossimo su una giostra e non siamo più bambini.
“Quello che non siamo diventati” non è solo il titolo di questo romanzo ma una metafora. Come un fiore in procinto di schiudersi, ad un certo punto, rimane fermo, nel suo diventare altro perché non c’è la primavera ad accoglierlo ma un inverno rigido che sembra non finire mai. Michael, il protagonista del racconto, non riesce ad esprimere la vita che si porta dentro, la bellezza di cui è straripante. Prova solo rabbia. Un livore che se lo mangia piano.
“Ci pensi mai a quello che non siamo diventati?” chiede Sara a Michael. No, Michael non se lo chiede. Non vuole chiederselo più per non sentire il freddo dell’inverno. Sa che non basta chiudere una finestra per mandarlo via. Sa che quel freddo è parte delle sue ossa, dentro di lui e l’ha congelato insieme alle lacrime e al vuoto che ogni tanto avverte e scaccia via. “Si può andare via anche restando esattamente dove siamo” e Michael fa così. Va via solo un po’. Ogni tanto. Nei viaggi di sola andata. Dentro un amore malato, tossico, che decide per lui, il ritmo del mondo.
Due vite. Due strade e silenzio assordante che invade tutto. I corpi e le stanze. Un dolore muto che non vuole parlare ma che d’un tratto inizia a urlare e, mentre lo fa, mentre il frastuono entra anche nei luoghi più remoti di un’anima ferita anche sulle ginocchia per i tanti tentativi di tenersi in piedi, fa quello che deve fare: distrugge, demolisce, abbatte le pareti di una casa fasulla e inizia a scuotere. Il dolore si fa vivo e riaccende, rianima, scongela e lascia che la vita possa iniziare un’altra volta.
Per Michael e Sara, entrambi soli su una terra di granito, c’è un’altra possibilità. Come una freccia, anche Sara e Michael hanno bisogno di tornare indietro, nel passato, prendere su tutta la loro forza, per poter spingersi avanti, in un tempo, che ancora è in grado di raccoglierli insieme.
Giovedì 11 luglio alle ore 18.30 presso la libreria Mondadori, Aprilia abbraccia il giovane scrittore Tommaso Fusari come si fa con un amico che non rivediamo da tanto tempo.
Tommaso Fusari, autore del secondo romanzo “Quello che non siamo diventati” edito dalla Mondadori, ha incontrato il numeroso pubblico di Aprilia parlando delle emozioni che si celano dietro le sue pagine. Un libro intenso, ricco di spunti e bellissimo.
Due ore nelle quali si è raccontato. La sua infanzia felice, in campagna e al mare, insieme a due genitori che gli hanno regalato generosamente tutto il loro tempo. La sua Roma, scapigliata e nuda. I giorni e le notti passate a girarla tutta, vicolo per vicolo.
Ha raccontato la nascita dei suoi due nuovi personaggi, Sara e Michael. Ha affrontato temi scomodi e difficili: le molestie, gli abbandoni precoci e improvvisi, l’amore tossico, il senso di colpa che deforma il reale e blocca il possibile.
Ha spiegato il significato nascosto nella copertina apparentemente semplice: una tazza incrinata, poggiata su cocci rotti, precaria e tenuta insieme da un laccio spesso, simbolo di qualcosa che ognuno tiene per sé. Ha raccontato le fragilità, i tentativi maldestri e impacciati di chi fa del tutto per tenersi in piedi. Ha parlato di solitudine e di silenzi. Di distacchi e di addii difficili da dire e da dirsi. E poi… ha invitato i presenti, a cercare sempre il dialogo, a non chiudersi nei silenzi, quelli prolungati che tracciano distanze e preparano strade che ci portano via.
Un incontro intenso, reso a tratti leggero e frizzante dalla semplicità di uno scrittore profondo che sa come arrivare al cuore. Un pubblico commosso lo ha stretto a sé, strappandogli la promessa di un ritorno.
L’incontro si è tenuto presso la Libreria Mondadori di Aprilia, confortevole rifugio di chi cerca ancora tra le pagine, un altro modo per sentirsi vivo. Un luogo familiare e cordiale dove tutti si sono sentiti a casa.