Il parroco di San Michele Arcangelo Don Franco Marando offre una lettura delle statistiche che vendono i matrimoni in calo da diversi anni
di Riccardo Toffoli
Nello scorso numero di agosto abbiamo parlato dei matrimoni. Grazie ai dati fornitici dall’ufficio stato civile di Aprilia, abbiamo potuto tracciare il trend che vede la città di Aprilia in linea con l’orientamento nazionale: i matrimoni sono inesorabile in calo da diversi anni a questa parte. Il lockdown ha solo rimarcato il dato. Di solito durante le domeniche estive, il sagrato della chiesa di San Michele ma anche il piazzale sotto al Comune, si riempiva di colori, di riso, di sorrisi gioiosi, di fiori. Quest’anno, invece, il silenzio ha accentuato la necessità di fare qualcosa per invertire la tendenza. Nel 2020, dati alla mano, i matrimoni celebrati sono il 43% in meno rispetto all’anno precedente.
Perché secondo lei Don Franco, i matrimoni sono in calo da diversi anni a questa parte?
“È una domanda non semplice. Non semplice perché richiama a delle situazioni culturali epocali che viviamo e che sono complesse. È veramente difficile individuare un perché. Possiamo riconoscere una variegata serie di perché. Il trend sicuramente è ciò che lei ha evidenziato. Alcuni sociologi arrivano persino ad ipotizzare che, se continua così, tra trent’anni arriveremo al punto zero dei matrimoni. Influiscono sulla scelta di non sposarsi, intanto, una serie di difficoltà economiche, l’incertezza del lavoro e si guarda al futuro con una certa paura. Tutto questo frena la coppia a prendere impegni che hanno la caratteristica della solidità, della stabilità e della permanenza per la vita. L’incertezza del futuro può creare apprensioni a tal punto da evitare la scelta matrimoniale. Ma ci sono tanti altri motivi. Viviamo in un tempo che è definito come la “cultura del provvisorio” e nel provvisorio emergono quelle tipologie anche esistenziali che potremmo ricondurre al narcisismo e all’individualismo soprattutto. Più che domandarsi allora se ci saranno più o meno matrimoni, forse occorre domandarsi: ma la gente è capace di amare?”
Lei quindi crede che l’individualismo abbia a tal punto compromesso la capacità di donarsi all’altro/a?
“L’idea della stabilità, ossia quell’unirsi per sempre, può apparire come un impegno pesante che sfida la capacità di resistenza. Bisogna prima di tutto domandarsi se l’amore viene visto come donazione di sé ad un’altra persona o come un appagamento di un bisogno emozionale. I bisogni emozionali durano poco, vanno e vengono, ritornano e se ne vanno. Non garantiscono la stabilità. Difatti c’è questa obiettiva realtà sociale: tante persone passano da una relazione all’altra e si arriva ad una maturità solo avanti con l’età. Per questo motivo ad esempio diverse coppie si sposano verso i quarant’anni. Non sono, quindi, i motivi economici gli unici ad influenzare la scelta di non sposarsi, ma anche questa labilità sofferta, patita o maturata nel cuore. Vorrei aggiungere un altro perché, che mi sembra importante: la testimonianza negativa delle generazioni precedenti. Tante famiglie hanno spezzato il vincolo matrimoniale e l’esperienza negativa dei genitori si riflette sui giovani. Le giovani coppie allora pensano molto al passo che stanno per compiere per non ripetere eventuali errori o scelte ritenute come errori. Quindi abbiamo detto: c’è la paura del futuro, individualismo, narcisismo, cultura del provvisorio ma anche appunto un occhio verso l’esperienza della generazione precedente. Un altro dato va aggiunto alla riflessione. Viviamo in un clima di secolarizzazione dove non c’è più una fede che, pur non maturata nel cuore, configuri il vivere sociale. Fino a pochi anni fa il nostro vivere sociale era immerso nel clima della cristianità. Oggi non è più così, questo porta anche a dei passaggi di società con tutte le rotture di continuità con il passato, tra le quali anche la famiglia”.
Cosa può fare la Chiesa per invertire questa tendenza?
“La Chiesa da ormai decenni, almeno da trent’anni, offre ai nuovi nubendi ,dei percorsi. Sono opportunità di incontro per crescere nell’approfondimento tematico ma anche per consapevolizzarsi nella scelta matrimoniale, vissuta alla luce della fede. Il matrimonio viene arricchito di dimensione propriamente spirituale. La Chiesa continua a fare quello che fa da anni, magari qualificando, cercando di essere attenta ai nodi educativi ed esistenziali delle nuove generazioni. Chi si sposa perché è veramente animato anche e soprattutto dalla fede, dovrebbe far vedere la bellezza del matrimonio. Ma più che il matrimonio inteso come istituzione, oggi è necessario ridare fiducia all’amore, alla capacità di relazionarsi con amore in maniera stabile e continuata, cercando nel matrimonio la gioia di “dare” prima ancora di “ricevere”, superando le paure e le sfide che i tempi presentano a noi. La prima, fondamentale, forza non spetta tanto alla Chiesa come istituzione ma ai cristiani che nel matrimonio, trovano una via consapevole verso la gioia e la felicità della condivisione, nonostante tutte le difficoltà. Noi dovremo favorire la maturità dell’espressione della coniugalità intesa come frutto di un amore veramente vissuto alla luce del Vangelo”.