I RAGAZZI DEL 2020

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Avresti mai pensato di superare quel dolore? Eppure siamo fatti così. Di anima e di forza. E dopo aver pianto così tanto da affogare in noi stessi, tocchiamo il fondo, che è sempre quello che ci spinge a risalire    (P.Felice)

di CINZIA DE ANGELIS

Federica ha sedici anni.                                                                                                                                                   Ha sedici anni nel 2021.

Ha sedici anni quando tutto il mondo sta ingaggiando una guerra contro un nemico invisibile: un virus, un piccolo virus che ci ha reso vulnerabili e soli da un giorno all’altro. Federica si sveglia la mattina, arrotola i capelli attorno ad una matita, trangugia un biscotto in fretta sorseggiando un bicchiere di latte tiepido. Mette un velo di crema idratante mentre si infila gli occhiali. Si guarda a malapena allo specchio. Non trucca neppure gli occhi. Prende la prima cosa che capita e la indossa. Accende il monitor. Si connette. È in aula. Tanti quadratini dall’altra parte dello schermo per un attimo le fanno ricordare che anche lei ha dei compagni di scuola. Parlottano mentre la professoressa cerca di stabilire una buona connessione. Va e viene. Non ha la fibra o forse ce l’ha ma il tempo è brutto.  Fa l’appello. Poi invia un video su Petrarca. Spiega qualche passaggio importante e lascia che i ragazzi continuino dopo sul libro, da soli. A Federica Petrarca interessa e apprezza molto la sua professoressa e le sue lezioni. Sa che sta facendo del suo meglio per non perdersi i ragazzi, per non vederli risucchiati da una didattica della lontananza che li separa giorno dopo giorno dalla scuola vera. Federica ascolta tutto, cerca di non perdersi neppure una parola della sua docente giovane e appassionata mentre dall’altra parte della sua stanza, le arriva il rumore invadente della lavatrice, delle stoviglie in cucina e dei suoi genitori che si scambiano mansioni e compiti prima di andare al lavoro.
La porta si chiude. Per almeno quattro ore Federica sarà in casa da sola. Il cane ogni tanto le morderà le ciabatte nuove e lei, per non distogliere il suo sguardo dallo schermo, cercherà di fare finta di niente. Una lezione dietro l’altra. Appello e prove di connessione ogni volta. Il tempo va lento. Non c’è la ricreazione per rifocillarsi, né la corsa in bagno per incontrare la sua amica del cuore e neppure la lezione di storia da ripassare in fretta.
Ma non c’è neppure Carlotta che ride ogni volta che Mattia racconta sempre la stessa barzelletta triste. Non c’è Laura all’ultimo banco che di nascosto ascolta la musica e si guarda i video sull’ i-phone. Non c’è Matteo che copia e Roberto che cerca le parole giuste per chiedere ad Anna di uscire Sabato. E non c’è neppure il sabato sera. Il cinema e il bar sotto casa. Le passeggiate al centro commerciale. I baci sotto i portici del centro. Le chiacchiere in pizzeria, le patatine salatissime e la coca cola ghiacciata del fast food.
Federica fa una pausa. Scende in cucina, manda giù la spremuta fresca di arance della Sicilia. Prima ne era golosissima: la spremuta la voleva rossa e dolce e con arance rigorosamente biologiche. Adesso non le guarda neppure più le arance. Si guarda a malapena intorno. La casa è grande e vuota e lei non si è mai sentita così tremendamente sola. È vero, non è sotto le bombe e, se questa è una strana guerra, è sicuramente comoda e confortevole, come racconta quel bizzarro spot in tv: il cibo non manca, gli agi neppure e allora perché Federica ha così voglia di piangere adesso?
Ricorda i pomeriggi, quelli belli, in cui ci si preparava per uscire. Ore passate a scegliere le scarpe e il rossetto. Il bus pieno per andare a scuola ammucchiati come sardine per non cadere.  La sua amica del cuore che le occupava il posto. Le ore interminabili di fronte al cancello ad aspettarsi a vicenda. E la voce rotta dall’emozione mentre Marco le parlava per la prima volta sul pianerottolo della scuola. Il distributore del caffè perennemente guasto e quella compagna di scuola, peggio di una bevanda amara, che non riusciva a proprio a mandare giù. E il viso bello di Marco senza mascherina. I suoi denti bianchi e forti e quel sorriso che stendeva tutti.
Ricorda questo Federica e, mentre tutto le scorre veloce, come fotogrammi impazziti, non fa in tempo a fermare le lacrime. Proprio non ce la fa. È la sua adolescenza questa, si dice. I suoi anni belli. Quelli, dicono, in cui si scopre il mondo e se stessi. L’età dove i talenti e le passioni affiorano. Gli anni della libertà, della trasgressione, della scoperta. E lei, chiusa dentro una bolla, ha paura di perderseli questi anni belli e di non viverli come vorrebbe. Acconciata così, con le ciabatte di due misure in più, il pantalone del pigiama con gli orsetti rosa e i capelli tenuti su da una matita mordicchiata, fa fatica davvero a immaginarsi come un’adolescente agguerrita pronta ad appropriarsi del mondo intero. No, decisamente, non ce la fa.
I dieci minuti di pausa sono terminati. Riordina i capelli e i ricordi. Si asciuga in fretta le lacrime. E prima di riconnettersi col mondo, prova a sorridere, a farsi forza, a dirsi che il vaccino è vicino e che tra poco si tornerà alla vita di tutti i giorni. A ritenersi fortunata, malgrado tutto. Perché sta bene. Perché il virus non si è portato via nessuno dei suoi cari. Perché può permettersi un computer e un pasto caldo. Perché può ritrovarsi ogni sera a ridere per le battute buffe del fratello. Perché è viva. Perché dentro le mura di casa c’è qualcuno che ancora prega e ringrazia.  Perché a volte “uomo di pena, ti basta un’illusione
per farti coraggio” si dice Federica ricordando quella frase sottolineata nel libro di poesie della compagna di banco.
Ed è fortunata Federica perché può piangere ogni tanto. Lasciare che le emozioni possano sgorgare via come sorgente dal suo cuore senza sentirsi sciocca, ridicola o ingrata. Federica è una di quelle ragazze che conosce la storia e le tragedie del mondo, che ha letto biografie strazianti di ragazzine che sono state mangiate vive dalla guerra, dalla violenza, dal male e da un’umanità cattiva e infelice. Lo sa. Per questo, dopo che ha pianto, si mette un po’ di colore sugli occhi e si infila dentro lo schermo con la voglia prepotente di farcela, di alzarsi domani più forte.
Federica è solo una dei tanti ragazzi del 2020: i ragazzi della pandemia. Del lockdown, delle città deserte, delle mascherine e del distanziamento. Di nuove povertà. Della didattica a distanza. Dei viaggi mancati. Dei baci lasciati in sospeso. Delle sedie vuote. Delle zone rosse. Di lacrime trattenute. Di nonni lasciati alle finestre. Di medici infaticabili. E di lezioni sulla vita imparate in fretta.
Sono i ragazzi del 2020. Fondatori di una scuola nuova. Sono i costruttori del domani: quelli che faranno dell’essenziale la base sicura sulla quale edificheranno un mondo diverso. Perché, contrariamente da noi, hanno capito, sulla loro pelle giovane che la “bellezza della vita abita nelle piccole cose.”