“AIUTIAMOLI A CASA LORO”: TRA CHI LO DICE E CHI LO FA, C’E’ CHI SCEGLIE LA SECONDA

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 MovAp inaugura la solidarietà 2.0:                     un’alternativa agli slogan e al qualunquismo

di Lorenzo Lauretani

È un frase ricorrente, che si ascolta spesso nelle dispute da bar. Noiosa, lisa, stantia. Poi c’è chi decide di prenderla sul serio e, complice un’amicizia insolita e un sodalizio di cittadini volenterosi, si attrezza. Nel breve volgere di una settimana raccoglie qualche centinaio di euro e regala un bel sogno a un gruppo di ragazzi africani. L’iniziativa non sembrerà delle più significative ma, a ben guardare, acquista un senso compiuto nel contesto di un progetto di intervento sociale. Proviamo a raccontarlo.

Il Gambia è un paese dell’Africa sub-sahariana, un striscia di terra stretta (solamente 48 chilometri nel punto di massima larghezza) al di qua e al di là delle rive dell’omonimo fiume, che s’insinua per circa quattrocento chilometri inglobata nel territorio del Senegal. Gli inglesi se ne impossessarono per effetto di un accordo con i portoghesi nel corso del XVI secolo per risalire il fiume, catturare gli indigeni e utilizzare la foce sull’oceano Atlantico come imbarcadero naturale per deportarli in Europa e in America. Complessivamente grande poco più del nostro Abruzzo, il Gambia, dopo aver ottenuto l’indipendenza nel 1965, ha vissuto alterne vicende politiche e sociali fino tra cui anche dittature e colpi di stato fino a giungere nel 2016 a elezioni democratiche. Sta di fatto però che oggi il Gambia è una dei paesi in cui si registra uno dei più alti tassi di emigrazione. La bassa scolarizzazione della popolazione, l’assenza di risorse naturali, l’economia fondata su agricoltura rurale di sussistenza e su un turismo ancora in fase di decollo spingono molti giovani a intraprendere un viaggio pericoloso e costosissimo attraverso il deserto del Sahara fino alla Libia e, da lì, all’Europa. Succede, però, che esistano personaggi come Karamo Keita, con la sua associazione Youths Against Irregular Migration (YAIM), che si fa carico di girare per i villaggi in cui ancora vive la maggior parte della popolazione per sensibilizzare i più giovani alle insidie – spesso letali – di questa impresa e, in particolare, di favorire progetti di sviluppo economico locale e fornire ai gambiani una valida alternativa di vita all’emigrazione. Un compito improbo che non può certo sperare di aver successo senza il sostegno di fondi internazionali, reso poi ancora più gravoso dalla diffidenza dei gambiani per una proposta tanto insolita anche da quelle parti. Karamo deve renderla più attrattiva e nasce così l’idea di una squadra di calcio che possa consolidare la fragile adesione dei ragazzi al suo progetto. La squadra si iscrive a un torneo nazionale, passa turno dopo turno e approda alla finale che si disputa a Banjul, la capitale. La squadra è a corto di soldi e la loro partecipazione è in pericolo: serve noleggiare un autobus robusto che resista a strade impervie che si insinuano nella giungla, comprare divise e scarpe e qualche kilo di riso da mangiare. Ma ecco che in soccorso del Pallang Football Club, questo il nome della squadra e del villaggio, arriva un gruppo di apriliani che, per intercessione di Andrea Fantoni, raccoglie il denaro necessario e lo invia a Karamo. La squadra parte, arriva e vince. È campione nazionale.

“Conosco Karamo da molti anni – dice il portavoce di MovAp – e i suoi progetti. Ne ho parlato al movimento e subito abbiamo deciso di supportarli. Siamo molto interessati allo sviluppo delle comunità locali così che mantengano le loro proprie identità culturali, contemperando allo stesso tempo un’economia sostenibile. C’è libertà lì dove è possibile compiere delle scelte per sé e per la propria comunità: i gambiani sono costretti a emigrare, non hanno scelta. In qualche modo è quello che accade anche a molti nostri giovani. Questo non deve succedere né in Gambia, né in Italia. Se mio figlio scegliesse di andare a vivere in un altro paese, dovrebbe farlo perché se ne è innamorato o per cogliere un’occasione interessante di lavoro o di studio. Non perché è stato costretto dalle condizioni del suo paese.”.

L’iniziativa è stata possibile per la collaborazione tra MovAp, appunto, e il CISAS (Centro Italiano per lo Studio dell’Africa Saheliana) che attualmente studiano prossime opportunità, replicando il modello di questa appena realizzata.

Un’alternativa credibile agli annunci urlati, ai selfies provocatori, alle dirette Facebook, esiste e, a volte, sta nelle maglie della società civile e in seno a un movimento civico.