Don Antonio Muraro festeggia i 60 anni di sacerdozio ad Aprilia “LA MIA BELLA COMUNITA’”

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È rimasto una settimana circa, prima di tornare all’istituto San Raffaele. La storia e l’intervista

 

di Riccardo Toffoli

60 anni di sacerdozio e non sentirli. Don Antonio Muraro il 28 giugno scorso ha festeggiato i 60 anni di sacerdozio, 43 anni dei quali passati ad Aprilia. Per l’occasione è sceso in città per incontrare quella che lui chiama: “La mia bella comunità”. È nato l’8 settembre 1938 a Trambacche, una piccola frazione del Comune di Veggiano in provincia di Padova. Oggi a Trambacche risiedono 50 anime. “Sono nato da una famiglia di contadini –ci racconta in una bella intervista domenica 20 ottobre- Eravamo 12 fratelli. Le prime tre figlie erano femmine e poi sono arrivato io, il primo maschio di casa”.

L’INFANZIA E LA GUERRA

L’infanzia è stata difficile. “Non avevamo neanche una lira per studiare”- ricorda Don Antonio. E, ancora piccolo, è piombato l’incubo della guerra. “I ricordi della guerra sono ancora tremendamente vivi –spiega- Mi ricordo dei bombardamenti notturni, dell’aeroplano che chiamavamo Pippo e dei morti. Gli aerei sorvolavano Padova e illuminavano la notte. Noi avevamo dei rifugi tra la terra rialzata e gli alberi in luoghi appartati. Poi ad un certo punto i bombardamenti colpirono anche il mio paese. C’era questo aeroplano che chiamavamo Pippo. E’ arrivato Pippo! Dicevano quando si sentiva il forte rumore. A quel punto nascondevamo i lumi sotto il tavolo perché qualsiasi cosa che vedeva accesa, bombardava. Ricordo che un giorno cercò di bombardare i ponti dei due fiumi del paese, il Bacchiglione e il Tesina che confluisce nel Bacchiglione. La strada li attraversava attraverso due ponti. L’aeroplano aveva come obiettivo i due ponti ma sbagliò e le bombe caddero su un fabbricato. Ci fu un morto. Ricordo infine il rastrellamento dei tedeschi. Uno di questi interessò anche il mio paese e i tedeschi vennero a cercare mio padre che fuggì in mezzo alle campagne e riuscì per fortuna a salvarsi. Della guerra ho questi ricordi: bombardamenti, fughe, morti”.

LA VOCAZIONE E LA PROVVIDENZA

Per Don Antonio la Provvidenza guida la vita dell’uomo. Ne è sicuro perché la Provvidenza guidò tutta la sua vita. Così accadde per la vocazione. “Nel mio paese c’era un parroco che si chiamava Don Francesco –racconta- ne ero completamente innamorato. E mi convinsi che sarei dovuto diventare prete, come Don Francesco. Mamma lo sapeva, ma papà no e non avevo il coraggio di dirglielo. Un giorno, durante la confessione, ho detto a Don Francesco che sarei voluto diventare prete. Mi chiese: sei sicuro? E risposi di sì. L’hai detto a tuo padre? No. E allora lui: Ci penso io. Facevo la quinta elementare. Un giorno Don Francesco è venuto a casa in bicicletta ed ha parlato a mio padre. Mio padre mi chiamò e mi chiese: Toni sei sicuro? Me lo domandò ben due volte in dialetto veneto. Risposi di sì”. Don Antonio scelse liberamente di diventare sacerdote. Solo molto tempo dopo la madre gli raccontò il suo “voto” a Sant’Antonio da Padova a cui si ispirò per il nome. “Molto tempo dopo che diventai prete –continua Don Antonio- mia madre mi raccontò del suo voto. Dopo aver avuto tre figlie femmine, mia madre si recò da Sant’Antonio da Padova per chiedergli il figlio maschio. E fece un voto: se fosse nato il figlio maschio sarebbe diventato prete e lei non avrebbe più mangiato la frutta che le piaceva tanto. E così fece. Per tutta la sua vita mamma non toccò più la frutta”.

LA MORTE DEL PADRE E ANCORA UNA VOLTA LA PROVVIDENZA

“Papà accettò che diventassi prete ma quell’anno si ammalò gravemente e morì. Aveva appena 45 anni-ricorda- gli altri figli maschi erano piccoli e io ero l’unico un po’ più grande per mandare avanti la casa. E così ho dovuto sospendere gli studi. Don Francesco mi chiedeva sempre se avessi voluto comunque diventare prete e io gli dicevo sempre di sì e mi consolava: vedrai la Provvidenza ti aiuterà”. E così è successo. La mamma insieme agli altri figli venne chiamata nel Varese dove i genitori di lei avevano la possibilità di ospitarli e Don Antonio, su consiglio di una cugina, bussò all’Istituto San Raffaele di Vittorio Veneto. “Noi non avevamo una lira e non c’erano le possibilità economiche per farmi studiare –racconta Don Antonio- ma provvidenzialmente venne una mia cugina, dalla parte di mamma. Ci disse: perché non vai a studiare all’Istituto San Raffaele? Lì è completamente gratuito. E così ho fatto”.

ORDINATO SACERDOTE E MANDATO SUBITO AD APRILIA PER LA VISITA DI PAOLO VI

Don Antonio Muraro fu ordinato sacerdote il 28 giugno 1964 a Col San Martino di Farra di Soligo dall’allora Vescovo Albino Luciani, poi papa Giovanni Paolo I, il “papa del sorriso” dichiarato Beato da Papa Francesco. “Ero appena stato ordinato. –ci racconta Don Antonio- Quel 22 agosto del 1964, con appena in mano il patentino per le confessioni, mi inviarono ad Aprilia perché dovevo dare una mano alla comunità dei sacerdoti di Vittorio Veneto durante la visita di Papa Paolo VI. Sono arrivato il 22 agosto ad Aprilia con il treno. Avevo il cappello tradizionale, l’abito nero e una valigia in mano. Sono arrivato alla stazione e faceva tanto caldo. Sentivo le cicale che cantavano, le strade polverose. Mi è sembrata l’Africa. Fresco di nomina, mi hanno messo a confessare. Ho confessato per tutta la giornata della visita del Papa. Poi il 24 agosto sono tornato a Vittorio Veneto”.

DESTINAZIONE “APRILIA”

Fu Don Noè Tamai, già presente ad Aprilia e direttore del centro di addestramento da poco aperto, a fargli amare la città di Aprilia. “Mentre aspettavo qui a Vittorio Veneto la mia destinazione –continua Don Antonio- Don Noè Tamai mi faceva vedere le foto dei giovani, di quello che c’era ad Aprilia con le squadre di calcio e gli sport. Io ho sempre desiderato lavorare a contatto con i giovani e gli dissi: magari potessi andare ad Aprilia. E così il superiore il 15 settembre del ’64 mi comunicò la sua intenzione di mandarmi ad Aprilia. Ne fui felice. Il 28 settembre 1964 ho messo piede ad Aprilia e ci sono rimasto per 43 anni”.

CON I GIOVANI

Ad Aprilia il gruppo dei sacerdoti di Vittorio Veneto erano un grande punto di riferimento oltre che spirituale anche sociale. Una città in crescita che non aveva niente. I sacerdoti del San Raffaele si sono fatti carico della grande impresa: creare Aprilia e i suoi cittadini. Ognuno ha dato il meglio che poteva nel suo campo. Don Antonio, nei suoi 43 anni di servizio ad Aprilia, ha cresciuto migliaia di giovani con l’oratorio e le attività sportive e ricreative, con il servizio dei chierichetti, tantissimi che affollavano tutte le Messe e con il Centro Sportivo Primavera che ancora oggi è un punto di riferimento per la città. Il terreno del Centro Sportivo Primavera venne sottratto dall’allora parroco Don Fernando dalla Libera all’ipotesi di una, l’ennesima, nuova discarica. Con il tempo il Centro Sportivo Primavera divenne un punto di riferimento per i giovani che volevano coltivare uno sport. Il suo archivio fotografico rappresenta tutta la storia di Aprilia e dei suoi cittadini. Generazioni di apriliani sono cresciuti con Don Antonio Muraro. “Sono stato fortunato, lo dico sempre –ci spiega- ho fatto quello che desideravo nella vita. Sono stato tra i giovani e con lo sport. Ho potuto realizzare quello che sentivo dentro. Non ho mai pensato ad un prete passivo di fronte alla comunità, e ad Aprilia sono riuscito ad essere attivo spendendomi per quello che sapevo fare meglio e che mi appassionava”.

LE NUOVE CHIESE E PARROCO DELLA NATIVITA’ DI MARIA

Paolo VI venne ad Aprilia il 23 agosto 1964 e ha benedetto la prima pietra di una chiesa che sarebbe dovuta sorgere proprio nel nuovo quartiere residenziale che si stava costruendo alla fine di Corso Italia, poi rinominata via Giovanni XXIII. “La Chiesa effettivamente doveva sorgere lì –ci racconta Don Antonio- poi a parte i racconti popolari, con il tempo si pensò che una chiesa lì fosse troppo vicina a San Michele. E allora si propose lo spostamento nel nuovo quartiere Primo. “Era una scelta logistica nel nuovo quartiere residenziale e vicino al cimitero –continua Don Antonio- quella chiesa intitolata ai Santi Pietro e Paolo venne poi benedetta da Papa Giovanni Paolo II nella sua visita ad Aprilia nel 1986”. La città si ingrandiva sempre di più e aveva bisogno di nuovi luoghi di culto. “All’epoca avevamo un furgoncino che era adibito a cappella mobile –ci racconta Don Antonio- giravamo il sabato per le borgate e facevamo la Messa dove si poteva, nei garage o nei grandi saloni. Nel camioncino c’era tutto il necessario per la Messa. Poi abbiamo pensato che era necessario costruire delle Chiese e ognuno ha pensato alla zona che era stata assegnata”. Don Antonio Zarantoniello è toccata Casalazzara, Don Clemente Cietto la zona Isole e a Don Antonio toccò la zona Fossignano-riserva Nuova-Vallelata. Qui iniziò a pensare di costruire una chiesa. “Siamo partiti alla buona –ci racconta- avevamo ottenuto il terreno dai proprietari della zona, ho curato io il progetto e Franco Nuti lo mise sulla carta. Così è sorta la chiesetta della Natività di Maria Santissima a Vallelata dove sono stato parroco dal 1986 al 1991. Venne ufficialmente inaugurata con la visita di Papa Giovanni Paolo II ad Aprilia nel 1986”. A Natività di Maria Santissima in questi giorni di permanenza ad Aprilia, Don Antonio passerà a celebrare Messa.

PARROCO DI SAN MICHELE

Don Antonio Muraro è stato nominato parroco di San Michele Arcangelo dal 1996 al 2007. Ha preso il posto di Don Luigi Fossati, nel 1996 destinato alla parrocchia di San Giacomo a Nettuno. Anche in questa missione, difficile soprattutto perché la comunità dei sacerdoti di Vittorio Veneto non c’era più ed era rimasto pressoché da solo a gestire la comunità di San Michele, Don Antonio fece la sua parte. Oltre a proseguire le attività giovanili, grande fu l’impulso per il Centro di Accoglienza nella struttura del Don Milani inaugurato da Don Angelo Zanardo e che diventò un punto di riferimento per chi aveva perso tutto nella vita ma aveva la voglia di ricominciare. Il centro diede una seconda opportunità di vita a tantissime persone. Noti anche i concerti per organo che furono inaugurati da Don Luigi Fossati il quale si spese tantissimo per l’acquisto del grande organo della chiesa, ma che con Don Antonio divennero un punto di riferimento europeo con nomi prestigiosi grazie anche all’opera di Sergio Pisani e del Maestro, per tanti anni organista di San Michele, Giampaolo Di Rosa.

PARROCO DI SAN GIOVANNI DEL TEMPIO A SACILE

Nel 2007, colto da problemi di salute, Don Antonio Muraro tornò a Vittorio Veneto. Qui però, il Vescovo gli ha voluto assegnare nuovi incarichi che Don Antonio ha accolto con grande e rinnovato spirito. Prima è stato assegnato alle parrocchie di Santa Lucia di Piave e di San Domenico Savio di Parè a Conegliano. Qui ha fatto il viceparroco e l’amministratore parrocchiale dopo la morte del parroco. Quindi il Vescovo gli propose la guida di una comunità parrocchiale. A San Giovanni del Tempio, una parrocchia del Comune di Sacile in provincia di Pordenone, Don Antonio Muraro è stato parroco per 14 anni, dall’ottobre 2010 fino ad oggi. Nonostante l’età non si è risparmiato in niente. Ha creato un bellissimo oratorio per i ragazzi, il giornale della parrocchia e tantissime attività.

“E’ TEMPO DI TORNARE A SAN RAFFAELE”

Durante l’estate il Vescovo di Vittorio Veneto lo ha chiamato. “Mi ha detto –ci spiega- senti Don Antonio, secondo me è il caso che torni al San Raffaele. È meglio che ci torni con le tue gambe che in ambulanza. E ho accolto l’invito. Dal 22 settembre di quest’anno ho lasciato la guida pastorale della comunità di San Giovanni del Tempio e sono tornato a San Raffaele. Ma prima ho chiesto al Vescovo la possibilità di salutare i miei parrocchiani apriliani e mi è stato concesso. Per questo sono qua oggi”. A 86 anni don Antonio Muraro torna così all’istituto di San Raffaele ma con l’incarico di parroco e amministratore della chiesa di San Raffaele, interna all’istituto e molto frequentata dai fedeli. Grazie alla vocazione laica di Maria Fogazzaro, figlia del grande scrittore italiano, prese vita il progetto di San Raffaele di Vittorio Veneto a cui lasciò tutti i suoi beni. La casa che facilitava le vocazioni religiose dei giovani poveri e questa chiesetta. Oggi tra le sorelle laiche e i sacerdoti, l’istituto di San Raffaele conta circa 15 persone ma i fedeli che ogni giorno si recano a Messa nella chiesetta sono molti di più.