di Antonella Bonaffini
A volte mi soffermo a guardare le immagini che la tv rimanda. Popolazioni intere costrette a fuggire dalla loro terra, bimbi che dinanzi all’obiettivo alzano le mani in senso manifesto di resa, uomini che cercano rifugio nella morte, dopo aver conosciuto il vero inferno in questa terra. Ma i bambini non dovevano giocare? Perché i missili hanno sostituito quelle sfere colorate? Dove sono le immense distese verdi nelle quali poter correre? Ed il vento? Il vento all’improvviso ha smesso di soffiare, tutto è fermo, macabro, tutto odora di morte. Da dove nasce questo odio che l’uomo, consapevolmente ed orgogliosamente, da decenni sembra ormai voglia riservare al suo stesso simile? Nasce da un dio che disconosce il cuore, che disdegna il rispetto e la benevolenza, un dio che miete vittime senza impugnare mitra, attraverso un mediatore facile da poter corrompere e silenziosamente dominare, perché intrinsecamente proteso al male: un essere, ed è persino vergognoso scriverlo, chiamato Uomo. Chi sono i grandi di questa terra e quali sono i discutibilissimi parametri che ne misurano il valore? Se ci soffermassimo a riflettere, sarebbe chiara la peccaminosità che da secoli domina l’individuo e che non ha possibilità alcuna di assoluzione. Genitori che uccidono i loro stessi figli, questi ultimi che uccidono i loro genitori, violenze continue perpetrate sugli anziani, sulle donne, sui bambini, persino sul genere animale, e questo, al solo scopo di render manifesta una superiorità malata su tutto ciò che ci circonda, e che sembra, si voglia in ogni modo devastare. L’uomo, par essere vittima di un ossessivo e convulso delirio di onnipotenza, che sembra avergli fatto perdere ogni barlume di ragione ma di recente, credo si sia davvero toccato il fondo e sebbene sia tristissimo anche solo pensarlo, dubito ci potrà essere per noi liberazione. Potremmo star qui a discutere per secoli dell’individuo umano ma nel frattempo, nessuno fermerà la mano di chi ha ucciso Hevrin Khalaf, una donna tra le più note del Rojava, barbaramente trucidata in un agguato dei miliziani filo-turchi nel nord-est della Siria. Hevrin, non si aspettava certo di dover morire per aver difeso i suoi ideali. Girava in Jeep, con il suo autista ed un accompagnatore. L’attivista, paladina dei diritti delle donne in un paese dove troppo spesso purtroppo le donne sono vittime di discriminazione, da tempo si batteva per la pacificazione fra curdi, cristiano-siriaci e arabi nella regione ormai martoriata da una guerra civile che sembra non voglia conoscere la parola Pace. Ma Hevrin credeva in quello che faceva e pensava incautamente di potersi fidare. L’amore per i suoi stessi simili, l’ha consegnata però alla morte. Eppure, nonostante episodi di questa gravità, il mondo spera ancora che arrivi il giorno della persuasione, che l’uomo prenda consapevolezza del suo modo folle di presenziare, eppure nonostante ciò, il mondo spera ancora che i campi tornino a profumare di erba e di fiori, che i bambini possano correre e giocare, che l’individuo umano faccia finalmente pace con il suo cervello, che la vita lo possa, abbandonando il lugubre profumo della morte, finalmente tornare a celebrare.