Il discorso tenuto dal Sindaco di Aprilia Antonio Terra,in occasione della celebrazione per il 76simo anniversario della Battaglia di Aprilia.

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Buongiorno a tutti,

ci incontriamo oggi, dopo quasi tre mesi di isolamento e di totale assenza di eventi e momenti pubblici. Lo facciamo, ovviamente, con tutte le precauzioni possibili, dato che l’emergenza che il nostro Paese sta affrontando non è certo finita. Siamo ancora chiamati ad atteggiamenti e comportamenti improntati alla massima responsabilità e nessuno di noi vuole certo tirarsi indietro.

È comunque bello riprendere ad incontrarci proprio in occasione della ricorrenza della Battaglia di Aprilia. Un evento sicuramente doloroso per il nostro territorio, ma che ci riporta subito alla fine della guerra che la nostra Città e il nostro Paese festeggiarono appena qualche mese dopo, nel 1945, 75 anni fa.

La commemorazione della Battaglia di Aprilia è l’ultimo evento annuale del circuito della memoria dello Sbarco Alleato, che ogni anno condividiamo con le Città e i territori limitrofi. La storia di quella grande tragedia che fu la Seconda Guerra mondiale, ha in effetti molte caratteristiche simili al momento storico che stiamo vivendo. Non tanto per le morti, che di certo oggi sono decisamente meno delle vite sacrificate durante la guerra. Quanto per la capacità di unire persone, territori, persino nazionalità differenti.

La guerra fu un grande evento collettivo, che risucchiò un intero continente in lotte fratricide e insensate, con un costo enorme in termini di vite umane, di distruzione, povertà, miseria. Ma da quell’evento collettivo, l’Italia seppe ripartire. Persino mettendo da parte le divisioni che da sempre caratterizzano il dibattito nel nostro Paese. Ed impegnandosi a favore del bene comune e della ricostruzione.

Allo stesso modo, credo che oggi siamo chiamati ad una nuova stagione di impegno. Un impegno che nasce proprio da qui, dai nostri territori, dalla provincia, dalla periferia. Un impegno capace di esser trasversale alle diverse generazioni, alle diverse sensibilità e appartenenze.

Credo che possono essere tre gli elementi da cui ripartire, mutuati proprio dall’esperienza storica della guerra e – soprattutto – del dopoguerra. Il primo è lo sguardo fisso sulle nostre Città e i nostri territori. Abbiamo bisogno di impegno concreto: un impegno comune, ciascuno nel proprio ruolo, speso nella nostra vita quotidiana, proprio lì dove siamo, dove abitiamo: il nostro quartiere, l’associazione di cui facciamo parte, il gruppo di volontariato, l’azienda nella quale lavoriamo, la famiglia, la politica cittadina. C’è bisogno di concretezza, di confronto con i problemi reali che le persone devono affrontare giorno dopo giorno.

Il secondo elemento è la visione ampia. Dopo la guerra che sconvolse l’intero continente, i nostri padri scelsero l’Europa come casa comune, costruendone le basi proprio lì dove si erano annidati gli odi e le recriminazioni di cui si era nutrito il conflitto mondiale. Se c’è una caratteristica comune tra la guerra e l’epidemia che stiamo vivendo è proprio l’assenza di confini, la visione globale. Se il problema che abbiamo di fronte non conosce confini, anche la risposta che siamo chiamati a creare deve saper andare oltre la nostra Città, la nostra Regione, la nostra nazione. Servono alleanze di grande respiro: l’Europa oggi non è più soltanto uno strumento o – peggio ancora – un legaccio, un limite: è il luogo dove si costruisce il futuro. Ma noi dobbiamo imparare saper influenzare la strada che tutta l’Europa sceglierà.

Infine, ultimo elemento utile a ripartire è l’originalità, la creatività. All’inizio di questa pandemia, spesso ci ripetevamo che “nulla sarebbe stato più come prima”. Adesso dobbiamo fronteggiare la tentazione a ripetere tutto esattamente come prima, con le sue storture e le sue inadeguatezze. Quando finì la guerra, l’Italia capì che doveva voltare pagina. E lo fece mettendo in gioco le sue energie migliori per dotare il Paese di sistemi nuovi, in grado di governare una nuova stagione.

Io credo che anche oggi siamo di fronte ad un bivio: possiamo riprendere a fare quello che facevamo prima, esattamente come lo facevamo prima. O possiamo impegnarci per una nuova spinta riformatrice e costituente. Che parta dalle Città e dai territori. Si nutra di visione alta, capace di valicare persino i confini delle Regioni e degli Stati. Ed utilizzi le energie migliori, per definire forme nuove, risposte nuove a problemi nuovi.

Questo, in fondo, è ciò che l’esperienza della Guerra ha insegnato al nostro territorio. Ad Aprilia, a Lanuvio, ad Anzio e Nettuno. E ai tanti luoghi che seppero rialzarsi dopo i bombardamenti, i morti, le mine.

Se sapremo far tesoro di questa esperienza, quella storia non sarà stata inutile e quelle morti (di ieri e di oggi) non saranno vane. Oggi, forse un po’ più di ieri, ne siamo consapevoli.

Grazie e a tutti.