LATINA VERSO LE AMMINISTRATIVE: CANDIDARE UNA SQUADRA DI GOVERNO. LA PROPOSTA DI NICOLA TAVOLETTA

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Il nocciolo della questione di questo articolo, escludendo ogni introduzione o preambolo, riguarda il Sindaco della Latina del 2021. Le introduzione e i preamboli sono importanti, a me piacciono tanto, come piacquero tantissimo ad Antonio De Curtis in un simpatico”Totò a Colori” e ad Arnaldo Forlani nel Governo del 1970. Oggi non piacciono più alla impazienza elettorale e quindi scriverò da Spartano, forzando il mio essere Ateniese e arrivo al sodo.

Tra un anno voteremo alle elezioni amministrative a Latina e il tema, neanche troppo appassionante per i cittadini, è quello della individuazione dei candidati alla carica di Sindaco. Nei confronti, pochi, si brancola nel buio delle contraddizioni politiche, ma soprattutto in un panorama dove gli “infortuni” amministrativi hanno indebolito tante donne e tanti uomini nelle aspirazioni, aprendo questioni importanti sulla legalità e la legittimità.

Intanto la mia opinione sui tre sindaci successivi alla introduzione dell’elezione diretta non è negativa e mi riferisco a Finestra, Zaccheo e Di Giorgi. È negativa la mia opinione, altamente negativa, sulle loro maggioranze consiliari e in alcuni casi sulle giunte.

Infatti sono stati tre sindaci che, per qualche demerito personale, ma soprattutto per incoscienza politica della classe dirigente hanno visto incompiuti i loro mandati. Zaccheo e Di Giorgi addirittura sfiduciati, mentre Finestra non è riuscito a far approvare l’atto più importante: il nuovo piano regolatore. Tre Sindaci rimasti soli, probabilmente, come detto, per qualche demerito personale, ma soprattutto per strategie speculari autolesioniste di consiglieri ed assessori spesso inadeguati per formazione politica, preparazione amministrativa ed alcune volte, purtroppo, per statura morale.

Troppi “mercanti” nel tempio.La cacciata de “mercanti” dal tempio è avvenuta nel 2016 per volere popolare.A questo episodio, però, non è conseguita l’amministrazione del “culto”, cioè un esercizio amministrativo normale e regolare, rischiando che la struttura fosse avvolta dai rovi e dall’erba alta per incuria.La mia idea è che non siano mancati i Sindaci, ma i governi, le squadre, un nucleo di politici che facessero e facciano politica.

Donne e uomini che abbiano una strategia, senza rimanere nella palude della tattica come unico orizzonte quotidiano.Sicuramente il tema principale è quello dell’indebolimento dei partiti, strumenti costituzionalmente fondamentali per la democrazia.Ora come risolvere?

Una proposta provo a farla: alle prossime elezioni non candidiamo solo l’aspirante sindaco, ma una squadra di governo, una candidatura collegiale, perché le responsabilità siano diffuse e l’equilibrio da subito sancito dalla democrazia.Non puntiamo sul carisma elettorale del singolo, ma affiancamo al Sindaco la sua squadra.

Proponiamo che il candidato a Sindaco scelga subito la compagine di governo e che siano insieme sottoposti al giudizio elettorale e all’eventuale fiducia consiliare.Nella prima Repubblica la stabilità politica era garantita, non quella amministrativa, ma per una Italia che veniva dal Fascismo e che aveva da temere il pericolo Comunista era, comunque, una ottima cosa.Ora i pericoli non sono ideologici, semmai di povertà ideale o carenze progettuali.

È inutile appassionarsi al candidato a Sindaco, quando lo mandiamo a rosolarsi fino a bruciarsi.Per questo sforzo verso un salto di qualità politico ed amministrativo, nella difficoltà dei partiti, è bene che riflettano sulle proprie responsabilità le nostre organizzazioni sociali, i corpi intermedi e le rappresentanze.Abbiamo il necessario dovere di far comprendere agli aspiranti amministratori come il consenso elettorale sia una forma di partecipazione al servizio pubblico per il bene comune. Abbiamo il compito di dire che la burocrazia non è un mostro, ma è semplicemente l’ ufficio del governo da guidare e che la maggioranza dei dipendenti pubblici è formata da grandi lavoratori e vanno rispettati. Dobbiamo sfidare i luoghi comuni del disfattismo e riaprire il tempio alla fatica della democrazia e della mediazione. Il compromesso è uno strumento nobile della democrazia. Abbiamo da svolgere non solo una campagna elettorale, ma una stagione di pedagogia popolare.In questi giorni le Acli hanno sottolineato la ricorrenza del cinquantenario della introduzione dello Statuto dei Lavoratori: Carlo Danat Cattin disse “abbiamo portata la Costituzione nelle fabbriche”.

Quella fu una grande rivoluzione democratica.Oggi abbiamo l’impegno di riportare la Costituzione nella politica e nell’amministrazione, cioè nel suo tempio laico.

Nicola Tavoletta – Rfsa-Direttore Acli provinciali di Latina