Roma, marzo 2025 – In un silenzioso appartamento della periferia romana, tra scaffali di faldoni processuali e vecchie fotografie in bianco e nero, ci accoglie la signora Gloria Battista. Lo sguardo è determinato, la voce misurata ma ferma. È al centro di una causa civile che racconta molto più di una disputa ereditaria: parla di radici, di silenzi familiari, di giustizia e memoria. È l’unica figlia erede di Antonio Battista, meglio conosciuto come il Mago di Arcella, il Mago dei Vip. Ma oggi non si parla di illusioni: oggi si parla di terra, mattoni e verità.
- Signora Battista, cominciamo dal principio. Chi era suo padre, Antonio Battista?
- Mio padre era un uomo complesso, pieno di risorse. Pubblicamente era noto come il “Mago di Arcella”, ma in famiglia era un uomo pratico, concreto, che si era costruito da solo. Aveva una visione patrimoniale molto chiara, e costruì – anche letteralmente – il suo futuro e quello della sua famiglia. Ma poi… tutto è andato perduto, e non per colpa sua.
- Lei è figlia di primo letto. Cos’è accaduto dopo il secondo matrimonio di suo padre?
- Dopo il matrimonio con la seconda moglie, mio padre, per motivi di tasse, trasferì a lei tutti i suoi beni, attraverso la separazione e il divorzio. Ma erano solo passaggi finti, tutti sapevano che quei beni erano suoi. Poi la seconda moglie è venuta a mancare. E lì è cominciata la distorsione.
- In che senso?
- I figli della seconda moglie – miei fratellastri – hanno presentato la successione della madre inserendo tra i beni anche quelli che erano di mio padre ceduti a lei nella separazione per evadere le tasse. Appena fatta la successione, hanno mandato via mio padre dal Castello Bianco dei Mobili d’Arte della Brianza e hanno volturato, venduto, messo a reddito. Quando lui è morto, nel 2012, hanno rinunciato all’eredità, dopo averne goduto i frutti. E io mi sono ritrovata erede sì… ma di un patrimonio svuotato. A questo punto, ho chiamato la mia sorellastra, chiedendo la mia parte di eredità e lei mi rispose: “ormai è tutto mio, sfido qualsiasi giudice o avvocato che ti possa dare ragione! Sono in una botte di ferro! Fammi scrivere subito da un avvocato!”. Per questo motivo, ho dovuto iniziare delle cause in tribunale.
- E questo patrimonio in cosa consisteva?
- In terreni e fabbricati situati in via Tuscolana, a Roma. Terreni che, per legge, erano con l’uso civico, per capirci, tipo terreno demaniale ma riscattabile, quindi non erano commerciabili liberamente. Mio padre, fin dagli anni Settanta, vi aveva costruito edifici come livellario, cioè possessore del cosiddetto “utile dominio”. Gli atti lo dimostrano: era tutto suo. E ora quei beni sono intestati ad altri, perché quando li hanno riscattati hanno dichiarato il falso, ovviamente, figli di Mago, possono fare le magie!
- Ma i suoi fratellastri dicono di averli ricevuti legittimamente dalla madre.
- Non è vero. Hanno inserito quei beni nella successione della madre pur sapendo che non erano suoi. Li hanno poi acquistati dal Comune di Frascati, dichiarando il falso, dicendo di aver costruito loro il Castello Bianco dei Mobili d’Arte della Brianza, quando invece mio padre ha comprato tre lotti di terreno enfiteutici da tre anziani, a cui li avevano assegnati quali Reduci di Guerra. In causa ho dimostrato con dei documenti che fu mio padre ad acquistare questi terreni, che era stato lui a costruire i fabbricati e ho depositato il contratto di appalto relativo alle costruzioni. Mio padre chiese la concessione edilizia in sanatoria che fu ritirata dalla seconda moglie esibendo la copia della sentenza di divorzio. I miei fratellastri avevano un anno di vita e l’altro è nato nove anni dopo la costruzione del Castello Bianco e invece hanno acquistato il terreno dal Comune di Frascati dichiarando che avevano costruito loro l’edificio. Poi la legge regionale che consentiva la vendita dei suoli edificati con uso civico fu dichiarata incostituzionale nel 2018. Quindi quegli atti, oggi, sono nulli. Ma io lo dicevo da prima.
- C’è chi potrebbe dire: è una questione tecnica, giuridica. Ma per lei, cos’è?
- Per me è una questione di giustizia. Mi hanno esclusa, scientemente. Hanno preso beni non loro. Li hanno affittati, usati, ipotecati. Hanno perfino costituito fondi patrimoniali su immobili che non avevano mai ricevuto per delazione. È come se qualcuno si fosse seduto a casa tua e avesse detto: “Ora è mia”. E nessuno fosse intervenuto.
- Lei chiede un risarcimento importante: oltre 25 milioni di euro.
- Non è avidità. È il calcolo di quanto non mi è stato restituito. Parliamo di immobili locati per anni, di beni che producevano reddito. Ma più che il denaro, voglio riaffermare un diritto: quello a non essere ignorata, a non essere spogliata. Mio padre aveva previsto per me una continuità, e quella mi è stata negata.
- Cosa rappresentano per lei quei beni oggi?
- Non sono solo mattoni. Il Castello cointestato con la seconda moglie è stato costruito prima; la casa tutta di mio padre, che noi chiamavamo “La Casetta”, è stata costruita dopo, e ovviamente si tratta non di una casetta, ma di una mega villa. Per la parte centrale, dal momento che è stata costruita abusivamente, la notte facevamo i turni io, una mia amica di nome Brunella e un operaio di nome Antonio, per vedere se arrivavano i vigili e appena vedevamo la macchina dei vigili, fischiavamo agli operai, che si volatilizzavano all’istante. Sono ricordi, sono le mani di mio padre che disegnavano quei progetti, che firmavano i contratti d’appalto, che scrivevano lettere al Comune. Sono la prova che esiste un legame, che non si cancella con una voltura catastale.
- Come si sente oggi, dopo anni di battaglie legali?
- Stanca, ma determinata. Non mi fermo. Ho la coscienza pulita e la documentazione con me. Ho avuto accanto un avvocato – Carlo Affinito – che ha creduto nella mia causa. E ora spero solo che la giustizia faccia il suo corso, senza cedere alla tentazione di chiudere gli occhi per “comodità”.
- E se potesse dire qualcosa ai suoi fratellastri?
(Silenzio)
- Direi: non c’è vittoria che valga il prezzo dell’ingiustizia. Nulla di ciò che avete costruito durerà, se poggia sulla sabbia.
- E se domani la Corte le desse ragione?
- Non sarebbe una rivincita. Sarebbe semplicemente ristabilire un ordine naturale. Perché il diritto, quando è giusto, somiglia molto alla verità. E io la verità la conosco da sempre.