Per piantare un albero si preferisce rovinare quel poco di bello e di sensato che ha Aprilia
LO SPELACCHIO APRILIANO “DISTRUGGE” LE ONDE SFERICHE DI PIAZZA ROMA
Allargato il cerchio centrale della piazza: è come se per piantare Spelacchio venisse intaccato il Vittoriano
di Riccardo Toffoli
C’è qualcuno che lo ha definito lo “Spelacchio” apriliano. Si tratta dell’abete di piazza Roma che è stato posto lì per il Natale 2017. Ogni tanto le amministrazioni ci provano a piantare lì qualcosa. La storia insegna che ogni abete piantato lì non ha avuto molta vita. Per piantare lo Spelacchio apriliano, si è scelto di eliminare le piantine che avevano piantumato i sostenitori di Possibile per abbellire la piazza e colorarla un po’ di verde. Ma nessuno, finora, davvero nessuno, aveva deciso di distruggere la geometria artistica della piazza per piantare un albero. Questo avviene solo ad Aprilia. E’ come se per piantare Spelacchio, avessero rotto i marmi dell’altare della patria. Per carità, la colpa non è della ditta ma di nessuno dell’amministrazione che abbia sorvegliato e abbia tenuto alla storia della città salvaguardandone la sua bellezza estetica. Almeno quel po’ che è rimasto. Piazza Roma, così come la vediamo, è stata realizzata nel ’75-’76. E’ stato uno dei capolavori artistici dell’architetto Roberto Nardinocchi. “Quando ho pensato a piazza Roma –ci confessò in un’intervista- avevo in mente le tante piazze italiane. Ogni piazza ha delle quinte. Il passante si guarda intorno e apprezza ciò che c’è. Questa piazza, invece, aveva solo due quinte peraltro molto slegate l’una dall’altra. Ho così pensato che i dislivelli della pavimentazione di piazza Roma potessero sopperire a questa mancanza: invece di guardarsi intorno, si guarda a terra”. Al centro della piazza, proprio dove ora svetta lo Spelacchio apriliano, sarebbe dovuta essere collocata una statua a forma di sfera di Arnaldo Pomodoro. Tutta la geometria architettonica si basa su quella forma circolare centrale che è stata completamente deturpata nella piantumazione dell’abete. Il cerchio centrale è stato inspiegabilmente allargato. Questo allargamento ha fatto sì che le proporzioni degli altri cerchi, siano completamente saltate. La forma circolare, del resto, è un segno distintivo dell’architettura di Roberto Nardinocchi. L’ha utilizzata anche per gli oblò dell’edificio della Banca Popolare di Aprilia che la nuova gestione ha ritenuto di sostituire senza alcuna esitazione con delle finestre quadrate alterandone l’aspetto compositivo della facciata. La sfericità della statua di Pomodoro nelle intenzioni dell’architetto, così, si sarebbe emanata come un’onda su tutta la piazza. Anzi come due onde sferiche: la prima centrale, la seconda nel lato della fontana. Ora è come se l’effetto onda non ci sia più. Piazza Roma è un’opera d’arte che merita di essere rispettata, di certo non deturpata. Viene considerata da molti artisti come Luca Zevi o Luigi Gheno (l’artista del monumento ai caduti in piazza della Repubblica) come una delle più belle piazze italiane. Chi ha la fortuna di affacciarsi dal municipio di piazza Roma, soprattutto nelle belle giornate assolate, si ritrova davanti la libertà della piazza. Un grande slargo che supera per esigenze sopravvenute come l’abbattimento della casa del fascio, l’architettura di fondazione dove tutto doveva essere mantenuto nel controllo completo delle autorità civili e religiose. Piazza Roma è l’emblema della Repubblica Italiana: piazza di democrazia e di libertà nel rispetto delle ferree norme architettoniche che sono appunto le forme sferiche, ormai frantumante. La statua di Arnaldo Pomodoro non venne acquistata. Al suo posto l’amministrazione di allora preferì “Evoluzione” di Mastroianni che pose impropriamente sopra la fontana, nonostante l’architetto e l’artista avessero espresso il concetto che la statua dovesse emergere dall’acqua. Del disinteresse rispetto all’aspetto estetico ed artistico dell’architettura, piazza Roma è solo uno dei tanti esempi. Ora è anche l’emblema di come un’amministrazione sappia completamente distruggere quel poco di bello che è rimasto.