“Poteva andare peggio” il nuovo romanzo di Simone Rocchi

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di Antonella Bonaffini

Simone Rocchi nasce a Bergamo nel 1987 ma da qualche anno, vive a Brescia. Laureato in economia aziendale, l’autore lavora per un importante istituto bancario, dedicando tempo a questa sua grande passione soprattutto la sera, quando tutto si quieta e la mente può, liberamente e sorprendentemente, spaziare. I pensieri prendono forma allora, catturando il lettore e portandolo in un mondo dove realtà e fantasia sembrano fondersi, in vicende intricate ma che sanno come ben argomentare, facendo nascere la voglia di leggere il libro tutto d’un fiato, arrivando a sfiorare l’ultima pagina.

Quest’oggi cercherò di presentarvi Simone Rocchi in punta di piedi, mossa dalla curiosità che i suoi romanzi hanno suscitato e per non turbare quella sensazione quasi surreale che il contenuto, in quelli che sono i passaggi più incisivi, riesce magicamente ad evocare.

Appassionato di sport e storie “particolari” l’autore collabora da tempo con giornali e riviste locali. Nel 2019, con Edizioni Effetto, ha pubblicato il suo primo romanzo, “Qualcosa Inventeremo”, vincendo poi la sezione a tema libero del Festival delle Lettere con “Voltati, dai”.

“Poteva andare peggio” è il suo secondo romanzo, che ha come protagonista sempre Giacomo “Jack” Alighieri, sei mesi dopo. Tra il primo componimento e “Poteva andare peggio” vediamo trapelare una continuità geniale che spinge il personaggio principale ad evolversi. Inizialmente passivo, disilluso, persino un po’ giullare, Jack cambierà il suo approccio alla vita quando inizierà a trovare sul tavolo del suo salotto dei bigliettini rettangolari che gli indicheranno solo un’ora e un luogo. Recandosi agli appuntamenti si accorgerà di raccontare involontariamente delle storie e subirà una vera e propria trasformazione del suo io, scoprendo cose belle che si alterneranno ad altre meno piacevoli. L’autore, quando gli si chiede il genere del romanzo, colloca questa sua nuova opera nella categoria formativa, appellandosi all’evoluzione del personaggio ed all’approccio squisitamente ironico con cui lo stesso si accosta alla vita.

Giacomo Jack Alighieri ha un lavoro che lo porta fuori casa tutte le mattine alla stessa ora, una fidanzata che gli riempie la dispensa e un gatto. Ogni tanto, una partita con l’amico di sempre e un giro al BarCellona. Sembra avere una vita così normale da essere noiosa. Se non fosse che il lavoro di Jack è raccontare storie. Lui va dove gli dicono di andare e parla, cambiando il destino delle persone. Da solo ma non per molto, perché chi lo ha “assunto” ora sembra volergli mettere alle calcagna un nuovo elemento, armato di silenzi e giacche fluo anni Novanta. E tra le domande di una poliziotta troppo perspicace, matrimoni in agriturismi isolati e messaggi lasciati sul lunotto posteriore della macchina, Jack inizia a intuire che stavolta inventarsi qualcosa per soddisfare il destino e i suoi originali datori di lavoro non basterà. Soprattutto perché questa volta il protagonista del racconto che deve inventare sembra essere lui.   

Sebbene il protagonista principale abbia come dote quella di raccontare delle storie, l’autore colpisce per la particolare capacità di sopraelevarsi allo stesso contenuto, facendo trionfare l’indiscusso potere attribuito alla parola e per una attitudine spiccata in grado di coordinare fantasiosi episodi, attraverso una spontaneità che sa sempre come imporsi nel trasmetter interessanti stimoli e snodata leggerezza.

Simone Rocchi, ricordiamo essersi aggiudicato anche il Premio alla Libertà con uno scritto in memoria di Ettore Carminati.